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Esclusiva

Aprile 10 2022
La storia del Re Granchio, dalla Tuscia alla Terra del Fuoco

Candidato ai David di Donatello come Miglior Opera Prima, il film di Righi e Zoppis emula il processo di trasformazione del racconto orale

Una casina nella campagna laziale, dei cacciatori riuniti attorno a un tavolo, e una storia. Un racconto che viene da lontano, forse dal tempo dei loro nonni. Una leggenda che narra di un ribelle ed ubriacone del villaggio, esiliato in Argentina dopo aver sfidato un principe e commesso un crimine. Una storia persa col tempo, di cui rimangono solo frammenti. E proprio da questi brandelli di ricordi lontani è nato Re Granchio, opera prima dei due giovani registi Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis.

La riscoperta dell’oralità

Seduti alla tavola di quella casina, «un film ha portato a quello dopo e così via». La prima volta che i registi hanno appreso della vicenda ottocentesca del ribelle Luciano era mentre giravano il loro documentario precedente. Re Granchio, infatti, conclude idealmente una trilogia di film basati su racconti orali (il cortometraggio La Belva Nera, il documentario Il Solengo), tutti tratti dalle storie sentite raccontare dai frequentatori di una cascina di caccia della Tuscia. «Il passaggio dal documentario alla finzione è sempre stato lì. Da tempo volevamo trasformare queste storie in un film».  

Il lavoro sulla sceneggiatura ha riprodotto il processo di come i racconti orali attraversino modifiche, alterati e mescolati e trasformati in materia nuova. «Mentre nei primi due film avevamo molti elementi su cui lavorare perché queste persone si ricordavamo bene le storie, quella del Re Granchio era una leggenda persa del tempo, che arrivava fino alla fine dell’Ottocento». Un racconto pieno di contraddizioni che li ha fatti arrivare all’altro capo del mondo, in Argentina, nella Terra del Fuoco, dove «abbiamo cercato e studiato storie locali, leggende di pirati e scoperto che era un posto dove andavano alla ricerca di fortuna». Così con la passione di un filologo e l’occhio di un regista, hanno fatto incontrare quelle storie con la loro.

La storia del Re Granchio, dalla Tuscia alla Terra del Fuoco

Il canto popolare

Insieme al fotografo Simone D’Arcangelo, i registi si sono ispirati alla pittura dei Macchiaioli: ogni inquadratura di Re Granchio è un quadro dai colori vividi, caldi e taglienti. E la puntuale ricerca dell’immagine si adatta anche alla musica, attraverso un lavoro di riscoperta dei canti del luogo. «Abbiamo iniziato a fare delle ricerche partendo dal paese, poi studiando la musica del folklore italiano. Ci siamo resi conto che la parte metrica si assomigliava, mentre testi cambiavano da regione in regione. Alcuni di questi testi ricordavano delle parti del nostro film: li abbiamo cambiati e adattati alla nostra storia». Oltre a far comparire nella pellicola i narratori del paese, i registi hanno anche fatto cantare coloro che tramandavano quei canti.

Al sapere musicale popolare si aggiunge il contributo strumentale del musicista Vittorio Giampietro, con cui gli autori collaborano per la terza volta. «Eravamo interessati alla parte narrativa che la musica poteva avere in questo film. Volevamo creare degli ambienti che non direzionassero semplicemente l’emozione ma che suggerissero qualche altra cosa, che arricchissero la scena». Fino alla canzone finale, composta dalla celebre cantautrice ed etnomusicologa Giovanna Marini.

La storia del Re Granchio, dalla Tuscia alla Terra del Fuoco
Maria Alexandra Lungu

Dagli incontri artistici deriva anche la scelta degli attori. Gabriele Silli, che interpreta il protagonista, è un artista plastico alla sua prima esperienza attoriale. «È un nostro caro amico. Gli abbiamo proposto il ruolo quattro anni fa, quando abbiamo iniziato a lavorare al film. Nel tempo si è preparato, ha addirittura vissuto un mese nel paesino dove abbiamo girato». Maria Alexandra Lungu, invece, «si è presentata ai casting e ci ha colpito molto. Così i registi hanno riscritto il personaggio femminile ispirati alla sua personalità, molto più forte di quella della sceneggiatura originale».

Ora la cascina è stata chiusa e nessuno vi racconta più le storie. Ma anche se questa trilogia finisce, «l’idea dell’oralità e del racconto sarà ancora presente nei nostri lavori». Infatti, i due registi stanno già lavorando ad un western, ambientato sempre nelle campagne laziali. Questa volta partiranno da un canto. «Sarà come una ballata».

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