«Offrire assistenza sanitaria internazionale a bambini stranieri non è una novità per l’ospedale, è una novità che ne arrivino duecento in due mesi.» Al 25 aprile, sono numerosi i bambini ucraini giunti all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. «Sono arrivati, almeno per quanto riguarda il nostro ospedale, ma in generale in Italia, già pochi giorni dopo l’inizio delle ostilità, perché evidentemente avevano percepito che ci sarebbe stata una difficoltà nelle cure. C’è stato un incremento molto deciso durante la seconda metà di marzo e i primi quindici giorni di aprile. In questo ultimo periodo, la situazione è più stazionaria».
La dottoressa Anna Maria Musolino, dirigente medico-pediatrico dell’ospedale romano, racconta la situazione al pronto soccorso. «I primi arrivi erano bambini con i loro famigliari, talvolta giunti con mezzi privati, talvolta con associazioni di volontariato. Solitamente con un genitore, nella stragrande maggioranza dei casi la mamma».
Il Bambin Gesù è parte, insieme a moltissimi ospedali italiani, di un progetto della protezione civile, che provvede ad accogliere, in un paesino della Polonia vicino al confine, i bambini che hanno bisogno di continuare le loro cure che sono stati costretti a interrompere, «perché l’interruzione del percorso può avere risvolti estremamente drammatici».
Il progetto accoglie questi bambini per poi destinarli nei vari ospedali d’Italia. Tutto questo è coordinato dalla CROSS (Centrale Remota Operazioni Soccorso Sanitario), che dipende dal dipartimento della protezione civile, e ha il compito di continuare le operazioni che si svolgono in Polonia, fare la ricognizione dei posti letto negli ospedali italiani, nonché organizzare voli e trasporti dalle città in cui atterrano gli aerei fino alle varie strutture in cui i pazienti, in prevalenza bambini, sono diretti.
«È con questo sistema che sono arrivati numerosi bambini presso il nostro ospedale. In questi casi, i medici del Bambin Gesù sono presenti a bordo, con il personale del 118, sul volo che va a prendere i bambini in Polonia, per poi essere condotti in diverse città in Italia. Un volo che fino ad ora è stato operato dalla Guardia di Finanza».
Dei circa 200 bambini arrivati, con tutti i mezzi a disposizione – non solo nell’ambito di questo progetto – 50 sono stati ricoverati, gli altri dimessi. La valutazione e la presa in carico avviene in pronto soccorso: i piccoli pazienti che presentano patologie più importanti vengono ricoverati, gli altri sono smistati nelle case di accoglienza convenzionate con gli ospedali (ad oggi sono circa 70 persone, tra bambini e famigliari). L’ospedale cerca di farsi carico anche di loro, delle mamme che arrivano con il figlio malato e dei fratelli che stanno bene, però non hanno un posto in cui andare.
Finora le patologie riscontrate nei piccoli pazienti ricoverati al Bambin Gesù – che il 19 marzo scorso hanno ricevuto la visita a sorpresa di Papa Francesco – sono state molto varie: cardiopatiche, neurologiche, difficoltà renali e respiratorie; la maggior parte, soprattutto all’inizio, «è stata rappresentata da problematiche onco-ematologiche».
L’arrivo dei bambini ucraini, tuttavia, non ha paralizzato le attività dell’ospedale pediatrico, che proseguono in maniera regolare da due mesi a questa parte. «C’è stato un carico di lavoro maggiore che però non ha gravato sulle altre cure, anche perché i bambini non sono arrivati tutti insieme – il massimo è stato di 7-8 di loro nello stesso momento – e perché il trattamento sanitario è lo stesso che viene regolarmente riservato agli altri pazienti accolti in pronto soccorso. Soltanto che nel loro caso è necessario l’aiuto di un interprete, prontamente messo a disposizione dalla rete ospedaliera».
Oltre all’emergenza umanitaria, il Bambin Gesù di Roma continua a far fronte all’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia, che non risparmia i piccoli pazienti ucraini. Ma questo non sembra aver creato problemi. «I bambini che necessitano di essere ricoverati e risultano positivi al tampone sono accolti in reparti specializzati oppure in strutture appositamente dedicate ai pazienti positivi al Covid». Inoltre, il tasso di vaccinazione tra gli ucraini è molto basso. Anche per questo, l’ospedale ha avviato anche una campagna vaccinale contro il virus aperta ai bambini e ai loro famigliari.
Ogni paziente che arriva porta con sé, spesso sulla pelle, una storia dolorosa: «Sono bambini che già combattono una loro battaglia contro la malattia e si ritrovano coinvolti in altre battaglie, più grandi di loro. Ogni storia che arriva da queste persone è una storia di un dolore incredibile, sia dei bambini che delle loro famiglie. Perché lasciare la propria casa mentre si è ammalati è spesso più doloroso che lasciarla mentre si sta bene: in un momento di grande fragilità, si inserisce una tragedia. Sicuramente, le storie che ci hanno colpito di più sono quelle di chi ha riportato ferite di guerra, perché è inaccettabile che il corpo di un bambino sano venga danneggiato esclusivamente da quel tipo di ferite».
Tra le pieghe del dolore preso in cura dai medici del Bambin Gesù e le rotazioni delle sirene che lampeggiano sopra le ambulanze in arrivo, a filtrare è la speranza. «Il mio primo viaggio è stato di notte – ricorda la dottoressa Musolino – a bordo di un aereo partito da Rzeszów, in Polonia. La prima tappa al rientro è stata Bologna: siamo arrivati alle due di notte, dovevano scendere 6-7 bambini in condizioni critiche. È stato incredibile perché, non appena è atterrato l’aereo, era pronto ad attenderli l’esatto numero di ambulanze con il relativo personale medico. È stato così anche a Pescara e Roma. In un momento di incredibile e dolorosa tragedia, questa organizzazione tutta italiana, che fa capo al dipartimento della protezione civile, fa davvero sperare bene.»
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