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Esclusiva

Maggio 4 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 6 2022
Dissidenza poetica: dalla Germania est alla Russia di Putin

Wolf Biermann, dissidente della DDR, ha dialogato in qualità di ospite presso la residenza dell’ambasciatore tedesco, con Elena Kostioukovitch e Nona Mikhelidze

«Che la parte dell’eroe sia capitata a me, è stato davvero molto bizzarro. Il mio linguaggio è sempre stato quello della poesia». Wolf Biermann, dissidente della Germania dell’est ai tempi in cui il muro che divideva Berlino e il mondo in ovest ed est doveva ancora cadere, arriva all’incontro ospitato presso la residenza dell’ambasciatore tedesco a Roma, circondato da ammiratori e conoscenti, scherza su tutto, soprattutto su sé stesso. «Si può sempre fare affidamento sulla vanità delle persone», ride di fronte alla richiesta di essere sottoposto ad alcune domande.

L’evento a cui è stato chiamato a partecipare aveva come titolo “Dalla guerra fredda all’aggressione russa all’Ucraina. Esperienze di allora e di oggi”. A dialogare con lui Elena Kostioukovitch, scrittrice, traduttrice e interprete russa e la georgiana Nona Mikhelidze, collaboratrice dell’IAI, esperta di Russia post-sovietica. L’ambasciatore tedesco Viktor Elbling ha moderato l’incontro.

«L’ambizione di mia madre era che diventassi un giovane comunista per vendicare mio padre, esponente del partito ed ebreo, che fu ucciso dal regime nazista». Fu questo il motivo per cui il giovane Biermann si trasferì nella Berlino controllata dal regime sovietico. Diventare dissidente non era nei piani ma, tutto sommato, il cantautore non rimpiange niente del suo passato. «Se fossi rimasto ad Amburgo sarei sicuramente diventato un idiota comunista. Mi sarei recato due volte l’anno nei territori della DDR, la Repubblica democratica tedesca, a spese dei lavoratori e dei contadini. Non sarei diventato chi sono». Ed è con gli occhi dell’uomo che è adesso, «un uomo dell’est», che Biermann interpreta gli eventi di oggi e di ieri.

«Quando Putin tenne il suo discorso nel 2001 al Bundestag, parlò di pace. Tutti erano entusiasti, io pensai che stava mentendo, ho avuto paura». Per gli uomini e le donne dell’est, del resto, l’aggressione all’Ucraina non ha rappresentato una sorpresa. Quella di Putin è stata un’azione preparata da tempo. Lo conferma nel suo intervento anche Nona Mikhelidze aggiungendo alla sua analisi una riflessione che deriva dai suoi studi. «Ho sempre pensato che fosse strano che l’Unione Sovietica si sia sciolta senza sangue. Il conflitto a cui stiamo assistendo oggi è la conclusione di quel crollo».

Anche Elena Kostioukovitch concorda sul fatto che questa azione fosse preparata da tempo. «C’è un episodio che può rendere il senso del tempo da cui questa azione contro l’Ucraina è stata preparata. Pochi giorni fa è scoppiato uno scandalo alla Gazprom, una grossa società russa che vende gas e che gestisce i flussi del gas. Si è scoperto che un manager, presidente della banca della Gazprom è scappato e sta dando interviste. All’interno dell’azienda lui si occupava di disinformazione. Il suo compito era quello di costruire e diffondere una serie di menzogne attorno all’Ucraina e ai suoi rapporti con il gas. Vent’anni fa gli fu dato questo compito».

Il vero tema dell’incontro, però è il dissenso. Lo spazio e le possibilità che chi lo esercita può ritagliarsi all’interno di una società come quella russa. Elena Kostioukovitch ricorda come negli anni della sua giovinezza la musica e i versi di Wolf Biermann arrivarono anche in Russia, «dove si rivelarono una possibilità di aprire uno spazio a nuove amicizie. Quando capivi che le persone che incontravi ascoltavano i tuoi stessi nastri trascritti con la musica di Biermann, scattava un senso di appartenenza»

Quello spazio di opposizione evocato dai ricordi di Kostioukovitch sembra essersi esaurito oggi in una pagina bianca, che si fa concreta nelle immagini dei cartelli vuoti che alzano i dissidenti di oggi in Russia. «I rappresentanti della cultura russa sono sempre più affetti da nichilismo. I dissidenti sono stati privati persino delle parole. In Russia i termini “pace” e “guerra” sono state banditi, non possono essere scritti, non possono essere pronunciati». Mikhelidze non vuole, però, negare l’esistenza del dissenso russo. Ci sono intellettuali, giornalisti, c’è una società civile. Quello che manca, semmai, è la rappresentazione che gli esponenti di questo mondo ottengono sui media italiani che preferiscono dare spazio a coloro che esprimono le posizioni della propaganda di Putin.

In questo modo si fornisce una rappresentazione parziale della società russa che può essere ribaltata anche attraverso una riappropriazione della propria lingua natia. «Quando è scoppiata la guerra mi sono ripromessa di non usare più il russo, perché è una lingua che gronda di sangue. Poi mi sono chiesta, di chi è questa lingua? E ho capito che non posso lasciare a loro anche questo». A Kostioukovitch risponde lo stesso Biermann, «si va nella trappola di Putin condannando il russo. Capisco l’ira, ma bisogna avere pazienza».

Il tema della resistenza apre anche a quello delle forze di opposizione all’aggressione russa che si sono sollevate tra la popolazione ucraina. Proprio questa esperienza, secondo Mikhelidze, «dimostra che l’Ucraina è davvero uno stato-nazione, la cui dignità va rispettata. Non è l’oggetto tra un tira e molla tra Russia e Europa». Di fronte alla domanda su quali consigli si sentisse di dare a chi sta combattendo per il proprio paese, Biermanm dice di non averne. «Sarebbe facile essere qui e dare consigli a chi combatte in Ucraina, ma non sarebbe giusto. Ognuno resiste come può».

Più che di consigli, insomma, il Paese guidato da Zelensky ha bisogno di aiuti, militari e umanitari, che l’ambasciatore Elbling ha garantito che la Germania, in uno sforzo europeo, si sta impegnando a fornire. «Siamo molto decisi ad appoggiare l’Ucraina, attraverso aiuti civili, ma anche militari perché vogliamo aiutare il paese a difendere sé stesso di fronte ad una violazione fragrante del diritto internazionale». Questa operazione, secondo l’ambasciatore, deve passare anche da una maggiore «integrazione europea» perché l’emergenza impone «la necessità di essere più agili nelle decisioni e di adattarsi all’occorrenza».

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