Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Gennaio 19 2023
Un musical LGBTQIA+ farebbe bene all’Italia

Ripercorriamo la storia del musical americano, mostrando il lento affermarsi delle tematiche omosessuali sui palcoscenici di Broadway

Sui palcoscenici di Roma stanno per tornare due grandi e apprezzatissimi musical: Jamie al teatro Brancaccio, dal 14 febbraio al 5 marzo 2023, e Billy Elliot al teatro Sistina, dal 13 al 23 aprile 2023. Ciò che questi due shows, apparentemente molto distinti, hanno in comune, sono le tematiche LGBTQIA+ che affrontano nella loro trama.

Nonostante ciò, nel teatro italiano, e soprattutto nel musical, questi temi sembrano faticare a fare il loro ingresso nei copioni e nelle sceneggiature. Questo porta semplicemente a riadattamenti di grandi musical o film americani nei teatri italiani.

Un primo passo di avvicinamento verso queste tematiche è stato compiuto nel 2019 con Smack, che nonostante il poco successo, si è aggiudicato il titolo di primo musical LGBTQIA+ italiano. Non basta: perché il teatro italiano non crea un musical su queste tematiche?

Perché la società fatica ancora a cambiare e la stessa America ha attraversato un lungo e travagliato percorso prima di poter introdurre gay, lesbiche, queer e trans nei palcoscenici di Broadway. Vediamo insieme l’evoluzione di questo tema.

Musical LGBTQIA+ - Jamie - Teatro Brancaccio
Musical LGBTQIA+ – Jamie – Teatro Brancaccio

L’epoca dei Pansies

Negli anni ’20 del Novecento, i teatri americani non rappresentavano quasi per niente i personaggi gay, considerati un grande taboo anche sul palcoscenico. Attori come Edward Everett Horton and Drew Demarest introdussero nel teatro il concetto di pansy, ovvero dei personaggi che erano “light in their loafers”, letteralmente “leggeri nei loro mocassini”, più sensibili ed emotivi, spesso travestiti.

Un autore che con le sue canzoni dava particolare spazio ai pansies era Cole Porter che nel 1934 debuttò con Anything goes e nel 1948 tornò a teatro con Kiss me, Kate. Entrambi raccontavano di storie d’amore etero, ma Porter era molto bravo a caricare i suoi testi di doppi sensi e di una forte tensione sensuale: dei veri e propri fuorilegge sessuali.

Era un periodo, infatti, di forte proibizionismo e non si rappresentavano temi legati al sesso, né se ne parlava. L’intero spettacolo di Anything goes è costruito sulla violazione delle regole da parte di tutti i personaggi e in Kiss Me, Kate i protagonisti flirtano con sottile cattiveria. Eppure è tutto solo all’inizio e i pansies continuano ad apparire sui palcoscenici di Broadway fino al 1968 quando l’armadio si apre con The boys in the band.

The boys in the band (1968)

Siamo negli anni 60’, nel pieno periodo dei moti di Stonewall, gli scontri violenti tra la polizia e i gruppi omosessuali. In questo frangente, dalla mente geniale e dalla scrittura ironica di Mart Crowley, nasce The boys in the band e per la prima volta viene presentata una storia incentrata sugli omosessuali.

Non fu un musical ben accolto dai registi americani: molti si allontanarono dal progetto. Anche per la produzione, si rivelò “quasi impossibile trovare” attori disposti a interpretare personaggi gay, tanto che chiesero a Laurence Luckinbill, amica di college del regista, di interpretare il protagonista Hank.

Tali furono le difficoltà che lo spettacolo venne presentato il 14 aprile 1968 Off-Broadway, al Theatre Four. Ad ogni modo lo spettacolo ebbe un grande successo tanto da arrivare a 1.001 rappresentazioni nel 1970. The Boys in the Band arrivò a Broadway cinquant’anni dopo. Del resto è sempre stato Broadway a dettare le tematiche del teatro: ciò che è accettato e ciò che non lo è.

Recentemente nel 2020, Joe Mantello ha deciso di riadattare il testo di Crowley per il cinema, creando una rappresentazione ironica e dinamica.  

Musical LGBTQIA+ – The boys in the band

I musical LGBTQIA+ degli anni Sessanta e Settanta

È il periodo in cui nascono alcuni dei più grandi musical arrivati anche in Italia come: Cabaret (1965), Hair (1967), Applause (1970) e A Chorus Line (1975). Tutti rappresentavano un personaggio gay o bisessuale contribuendo al progresso del teatro sulle tematiche LGBTQIA+.

Paragonando Applause e The boys in the band si nota che in pochi anni, prima e dopo le rivolte a Stonewall, si passa da un musical in cui essere gay era ancora un taboo a uno spettacolo come Applause, dove gli omosessuali vengono celebrati nella propria comunità.

Arriva al cinema anche The Rocky Horror Picture Show (1975) e il suo successo fu tale che anche negli anni avvenire si creò una specie di culto attorno allo spettacolo. I fan andavano travestiti al cinema per vedere le repliche del film!

Musical LGBTQIA+ The Rocky Horror Picture Show
Musical LGBTQIA+ – The Rocky Horror Picture Show

Gli anni ’80 – We are what we are

Ispirato all’omonimo spettacolo francese, nel 1983 arriva La Cage Aux Folles in cui personaggi gay sono totalmente al centro della scena. Arriva una ventata di libertà, “we are what we are” siamo ciò che siamo.

Il musical porta una grande rivoluzione con il brano Song on the Sand: la prima canzone d’amore tra due uomini. Fu un enorme punto di svolta. Fino a quel momento erano stati tanti i personaggi gay rappresentati sul palcoscenico, ma tutte le canzoni erano sempre state rivolte ad un rapporto tra un uomo e una donna.

Questa, invece, era una canzone d’amore di un uomo, scritta da un uomo, cantata per un uomo. Negli anni ’80 si parlava molto di Aids e questo portava al centro dell’attenzione le tematiche LGBTQIA+.

Musical LGBTQIA+ dagli anni ’90 ad oggi

Dagli anni ’90 in poi sono tantissimi i musical che hanno come protagonisti personaggi omosessuali: Falsettos di William Finn nel 1992, che mostrava i gay in una luce buona, più romantica e non idealizzata, Priscilla la regina del deserto 1994, e il fervente Rent nel 1996, rivoluzionario perché trattava con estrema naturalezza tematiche come la droga, l’omosessualità, il sesso … finalmente anche quello tra donne, che per tanti era rimasto in ombra.

Idina Menzel canta “Take me or leave me” in Rent

Oggi il Brancaccio porta sul palcoscenico Jamie, la vera storia di un ragazzo di 16 anni che decide di fare la drag queen. Debuttato a Londra nel 2017 con le musiche di Dan Gillespie Sells, Jamie è un esempio di unicità che dice al pubblico di non chiedere mai a nessuno il permesso di essere sé stessi. Una rivoluzione gentile dei tempi moderni, un urlo liberatorio che cela il lungo passato di lotte e affermazioni della comunità LGBTQIA+, anche a teatro.

Leggi anche: Perchè Sal Da Vinci è l’eterno eroe di Napoli