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Esclusiva

Gennaio 23 2023
Che cosa ci è rimasto di Hunger Games

A quindici anni dal libro di Suzanne Collins, il death tournament è un trope che ancora interessa, molte sono state le imitazioni, poche quelle riuscite

Non è stata Suzanne Collins la prima a inserire un torneo mortale nel suo libro, ma ancora oggi qualsiasi romanzo presenti quel tipo di trama viene paragonato a Hunger Games (Mondadori, 2009). Molti autori hanno provato a eguagliare il successo di quella trilogia, inserendo nelle loro opere, in misura più o meno grande, con esiti più o meno letali, tornei all’ultimo sangue. Quindici anni dopo la pubblicazione originale del primo capitolo della trilogia distopica, pochi si sono avvicinati.

Il romanzo di Veronica Roth, Divergent (De Agostini, 2012), sembrava l’erede diretto di Hunger Games: una società futuristica e dispotica divisa in gruppi, un’eroina adolescente che guidava una rivolta e, soprattutto, una competizione potenzialmente mortale contro gli altri ragazzi e ragazze per guadagnarsi un posto nella fazione degli Intrepidi. Eppure, in un’articolo del 2019, NPD BookScan ha riportato che nel periodo 2010-2019, Hunger Games, uscito nel 2008, aveva venduto 8,7 milioni di copie negli Stati Uniti, classificandosi come quarto libro più venduto nello scorso decennio, mentre Divergent, uscito nel 2011, ne aveva vendute 6,6 milioni, classificandosi decimo.

Sappiamo entrambi che devono avere un vincitore.
Suzanne Collins, Hunger Games

Sebbene il successo di altri libri che lo presentavano non sia stato simile, il trope letterario del death tournament è stato più volte riproposto, come fosse diventato un prerequisito minimo per i romanzi fantasy o sci-fi. A volte il torneo non occupa neanche l’intero libro o non è neanche mortale. In Regina rossa (Mondadori, 2015) di Victoria Aveyard, una competizione al femminile è presente per poche pagine per scegliere la sposa dell’erede al trono. Competono per diventare mogli di un principe anche le protagoniste di The Selection (Sperling & Kupfer, 2013) di Kiera Cass e de Le nostre vane promesse (Mondadori, 2023) di Lexi Ryan.

La famiglia reale in Il trono di ghiaccio (Mondadori, 2013) di Sarah J. Maas organizza un torneo, ma non per scegliere una sposa al figlio, bensì per trovare un’assassina che entri al servizio del malvagio re. La protagonista compete contro altri criminali in prove di forza e abilità per guadagnarsi il contratto di sicario reale.

Una volta vinto quel ridicolo torneo, sarebbe stata libera e… si sarebbe comprata tutti i vestiti che desiderava.
Sarah J. Maas, Il trono di ghiaccio

Non solo donne hanno scritto di tornei mortali. Koushun Takami lavorò a Battle Royale (Mondadori, 2009) nel 1996, raccontando la storia degli alunni di una classe di scuola media, selezionata in modo casuale ogni anno, costretti a uccidersi a vicenda finché non ne fosse rimasto vivo uno solo. Secondo alcuni fu di ispirazione per l’opera di Suzanne Collins.

Jay Kristoff racconta di una scuola di assassini in Nevernight I. Mai dimenticare (Mondadori Oscar Fantastica, 2019), in cui gli accoliti devono competere in prove ardue e letali per ottenere uno dei quattro posti come Lame, chi perde ma resta vivo deve accontentarsi di essere servitore dei vincitori.

L’ambientazione della competizione in Il canto proibito. Red rising (Mondadori, 2016) di Pierce Brown è il pianeta Marte. Ragazzi e ragazze vengono selezionati per entrare a far parte di gruppi con nomi delle divinità romane e devono sfidarsi per ottenere posti prestigiosi nella società futuristica e distopica creata dall’autore.

Si tratta di un gioco, bambini. Ma è un gioco pericoloso. L’unico tipo che valga la pena giocare.
Jay Kristoff, Nevernight I. Mai dimenticare

Indire un death tournament nel proprio libro permette allo scrittore di progettare una trama che tenga il lettore con il fiato sospeso, attendendo di scoprire se il protagonista supererà le prove e sopravvivrà. C’è però un evidente limite quando queste storie sono narrate in prima persona: con un unico punto di vista, diventa facile intuire chi arriverà alla fine del torneo e magari ne sarà il vincitore.

La tensione resta più alta nella recente pubblicazione italiana Noi i cattivi (Mondadori Oscar Fantastica, 2023) Amanda Foody e Christine Lynn Herman. Sette sono le famiglie che combattono per ottenere il controllo dell’alta magia, quattro sono i campioni che narrano la storia, lasciando più in dubbio il lettore su chi sopravvivrà e chi perirà. La campagna pubblicitaria del libro rende ancora più palese il rimando alla serie di Suzanne Collins, la trama in inglese del romanzo recita: «Ti sei innamorato dei vincitori degli Hunger Games. Ora preparati a incontrare i cattivi del Velo di Sangue».

Sebbene all’origine della fondazione del torneo ci fossero sette grandi famiglie, è importante ricordare che tutto ciò è accaduto molto tempo fa. Non tutte le famiglie sono rimaste grandi.
Amanda Foody e C.L. Herman, Noi i cattivi

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Di prossima uscita italiana è Lightlark (Sperling & Kupfer, 2023) di Alex Aster. Il libro racconta di un torneo che avviene ogni cento anni tra reali: sei isole magiche sono maledette ed è necessario che uno dei sovrani muoia per eliminare l’incantesimo che li affligge tutti. L’autrice ha pubblicizzato la sua idea su TikTok, diventando virale in poco tempo e ottenendo un contratto a sei zeri da Amulet Books, l’editore statunitense del libro, per la pubblicazione del romanzo. Questo episodio aiuta nell’analisi del fenomeno della diffusione del trope. Permette di capire che, sebbene nessuno abbia ancora eguagliato il successo planetario di Hunger Games dopo quindici anni, il death tournament continua ad appassionare i lettori di tutto il mondo che sono sempre in cerca di nuovi titoli di questo genere, pertanto, gli autori che decidano di scriverne troveranno un pubblico intenzionato a supportarli.