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Esclusiva

Febbraio 24 2023
Bakhmut non può essere una nuova Stalingrado

La resistenza ucraina all’occupazione russa, 365 giorni dopo l’invasione

«Con l’Ucraina, le cose andranno in modo estremamente doloroso». Così scriveva nel 1973 il Premio Nobel Aleksandr Isaevič Solženicyn, dissidente russo e autore del celebre libro “Arcipelago Gulag”. Cinquant’anni dopo, all’alba del 24 febbraio 2022, il contingente russo varcava i confini dell’Ucraina in cinque punti diversi: dalla Bielorussia verso Kiev, dal fronte nord-orientale verso Kharkiv, dal fronte meridionale entrando dalla Crimea e da quello sud-orientale passando per il Donetsk e Luhansk, che Mosca aveva riconosciuto come repubbliche indipendenti il 21 febbraio, solo pochi giorni prima dell’invasione. Un anno dopo, quello che doveva essere un conflitto lampo si è trasformato in un’estenuante guerra di logoramento,  che ha visto le vite dei cittadini ucraini irrimediabilmente stravolte.

«Un anno di guerra convenzionale su larga scala tra paesi con decine di milioni di abitanti e centinaia di migliaia di soldati condotto su cinque domini operativi: quello terreste predominante, aereo, navale, spaziale e cibernetico». Alessandro Marrone, direttore del progetto “Difesa” dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) distingue tre fasi principali in cui si è svolto il conflitto. Già nelle prime settimane il tentativo dei russi di «decapitare lo stato ucraino», conquistando Kiev e annettendo diverse porzioni del paese dal Mar d’Azov al Donbass, si è rivelato parte di una strategia fallita in partenza. Grazie alla leadership guidata da Zelesnky, «che non è fuggito», la resistenza ucraina si è unita per combattere «una guerra di popolo e di liberazione». Fin da subito, la Russia di Putin è rimasta vittima della propria propaganda e, dispiegando solo 200mila unità militari, il contingente di Mosca riesce ad arrivare fino alle zone di Kiev, Kharkiv e Odessa. Gli aiuti militari occidentali segnano il principio della seconda fase,  in cui la controffensiva ucraina ha ricacciato i russi da numerose zone del fronte. Così, il conflitto si stabilizza intorno al Donbass mentre vengono liberate la regione di Kharkiv e la provincia di Kherson, l’unica grande città occupata dall’inizio dell’invasione. Da novembre dello scorso anno il fronte è in stallo, mentre si registrano decine di migliaia di vittime e un consumo di risorse militari senza precedenti in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.

«La controffensiva russa al momento sta ottenendo pochi risultati e a costi molti elevati», Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore e autore del libro “Il posto della guerra e il costo della libertà”, commenta così le azioni russe nella zona di Bakhmut. «Se l’esercito ucraino riesce a mantenere il controllo della città è un grande successo, purché non la trasformino in una nuova Stalingrado. Per poter sfruttare una Stalingrado sono necessarie risorse che gli ucraini non hanno». La strategia militare russa in diversi momenti del conflitto si è rivelata debole e disorganizzata. Al contrario, gli ucraini «sono stati addestrati dalla Nato negli ultimi anni. Hanno imparato le modalità di gestione del conflitto occidentale in cui comando e controllo seguono uno schema piramidale, che garantisce una grande delega e velocità nel passaggio bidirezionale delle decisioni». La origini sovietiche in comune avvantaggiano l’Ucraina nella conoscenza delle strategie utilizzate da Mosca nella gestione del conflitto.

Secondo un rapporto di Save the Children sono 483 i bambini morti a causa della guerra, 7 milioni e mezzo hanno smesso di andare a scuola mentre 16.900 sono stati deportati, subendo abusi e molestie. La Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha raccolto le testimonianze di violenza sessuale e di genere su vittime dai quattro agli 82 anni. Così, alle sanzioni imposte dall’Occidente si aggiungono ben presto i processi in capo a Putin per crimini di guerra e contro l’umanità. L’accanimento in centri abitati come Bucha, Bakhmut e Soledar proviene da un’etica della guerra che per i russi non è cambiata dai tempi della Guerra Fredda. Così nell’avanzata intorno a queste piccole cittadine poco strategiche, le truppe nemiche si lasciano alle spalle gli orrori perpetrati fin dalle prime settimane del conflitto. Nella città di Bucha si apre uno spettacolo raccapricciante: sui corpi ammassati nelle fosse comuni i segni delle torture inflitte dai soldati russi. Nel gioco della guerra, per la Russia la vittoria non vale una distinzione tra militari e civili. Mentre nella parte occidentale del paese venivano distrutte le infrastrutture energetiche per piegare la popolazione al freddo e alla fame, la regione orientale vedeva bombardamenti indiscriminati contro i civili, per fornire aiuto ai militari con informazioni, rifornimenti e barricate. Che siano utilizzati come deterrente per la resistenza civile, o nell’ipotesi che siano solo il risultato di un pronostico azzardato, i metodi brutali dell’esercito di Putin violano il diritto internazionale.

Secondo Alessandro Marrone, «solo quando la Russia riconoscerà che non può avanzare militarmente e che la sua leadership è danneggiata dalla guerra, Putin deciderà di trattare per mantenere quanto conquistato fino ad ora. Spetterà poi all’Ucraina decidere se sedersi al tavolo delle trattative». A cambiare radicalmente, al termine del conflitto, saranno gli assetti geopolitici. Sebbene sia difficile stabilire con certezza come si riassesteranno gli equilibri internazionali, Parsi afferma che non è ragionevole pensare a una distensione dei rapporti tra Russia e mondo libero. «Alla fine di questa guerra ci sarà una corsa al riarmo, comunque vada a finire. Se le condizioni rimarranno di totale avversità con la Russia ci armeremo tutti di più. Alla fine della guerra ci saranno più armi, non meno».

Nel 1932 Einstein e Freud, due delle più geniali menti della storia dell’umanità si confrontavano sul perché della guerra. Einstein si interrogava sulla possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione. In altre parole si chiedeva se fosse possibile estirpare dall’animo umano il germe da cui scaturisce la guerra. Freud considerava i moti di Amore e Odio, conservazione e distruzione, imprescindibili l’uno dall’altro, deducendone che non è possibile sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Allo stesso tempo, però, affermava che il timore degli orrori della distruzione e la spinta alla civilizzazione sono le armi che possono contrastare la guerra, anche se non è dato sapere per quali vie impervie e per quanto tempo l’umanità dovrà percorrere questa strada.

Leggi il nostro periodico Ucraina • Zeta Numero 2 | Febbraio 2023