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Esclusiva

Marzo 1 2023
La società e lo Stato non stanno creando una fabbrica di bambini transessuali

Secondo un articolo pubblicato sul blog Blondet & Friends si manipolano i minori per spingerli a intraprendere una transizione di genere

La società e lo Stato non stanno creando una fabbrica di bambini transessuali

Notizia: La fabbrica dei bambini transessuali

Fonte: Blondet & Friends

La notizia riportata

L’autore dell’articolo “La fabbrica dei bambini transessuali” Roberto Pecchioli prova un «senso di colpa per non riuscire a fare nulla per modificare le cose» per quelle che lui descrive come «fabbriche dei bambini transessuali». Pecchioli si riferisce a quella che definisce come la volontà di spingere i bambini a cambiare sesso che deriva  dall’influenza dei social media e della comunità LGBTQI+. A sostegno della sua tesi, viene menzionato il libro La fabrique de l’enfant trans-genre scritto dalle psicologhe e dottoresse Céline Masson e Caroline Eliacheff. Nel testo, non tradotto in italiano, si sostiene che i trattamenti ormonali e chirurgici renderebbero un bambino sano un paziente a vita e che il «delirio trans» rischia di danneggiare la costruzione psicologica dei minori. Viene chiarito che non si mette in discussione la condizione degli adulti transessuali – che a detta dell’autore «talvolta ci ripugnano» – ma del diritto all’autodeterminazione che strumentalizza la sofferenza degli adolescenti.

Pecchioli ritiene che sui minori venga condotta una campagna di indottrinamento sulla «possibile transitoria confusione nell’identità personale e sessuale» che, «anziché essere trattata per ciò che è – un frutto della particolare stagione della vita alla quale dedicare un’attenzione amorevole, tesa a rimuovere le patologie (quando ci sono) – è sfruttata per modificare la percezione di sé fino alle estreme conseguenze». Continua affermando che le famiglie e la società hanno il compito di difendere i bambini da quelle che sono preferenze provvisorie. «Al contrario, oggi si enfatizzano momenti o capricci trasformandoli in desideri (e poi in diritti!) con il pretesto della cosiddetta transizione mentale».

I social media vengono descritti come un luogo in cui si conduce una massiccia propaganda della transessualità puberale e infantile. Vengono menzionati i «trans-influencer» che sulle varie piattaforme raccontano «le delizie del cambio di sesso, quando non incoraggiano direttamente la mutilazione». Altre cause del cambio di sesso vengono attribuite ai nuovi termini usati nel linguaggio accademico e nei dizionari, e al voler realizzare ogni istinto sessuale ricorrendo anche alla produzione artificiale di testosterone e ormoni.

Secondo l’autore se si chiede agli adulti di educare i bambini alla sessualità trasformativa si normalizza la sessualizzazione dei bambini. Tutto questo con l’aiuto della scuola, dei medici, del sistema politico, «quindi il potere è d’accordo con loro». Prosegue dicendo che ci troviamo di fronte a un crimine contro l’umanità: «In giro per l’occidente fiutano l’affare e aprono cliniche per baby trans. Un ex dirigente, atterrito da ciò che ha visto e fatto, ha denunciato il centro in cui lavorava, rivelando che “le medicine che bloccano la pubertà hanno spinto sempre più minori a cercare di togliersi la vita. E i ragazzi pentiti del cambio di sesso erano trattati come appestati.”».

Viene sottolineato come i programmi e le associazioni, create dalla Fondazione Rockefeller e dalla Edmond de Rothschild Foundation, promuovano l’ideologia di genere in maniera propagandistica. Per l’autore non è stato da meno il Festival di Sanremo.

Viene riportato il caso di Brian Reimar, nato maschio e costretto a riconoscersi dagli psicologi come femmina in seguito a un’operazione che ha causato la perdita del pene. È stato descritto come una cavia perfetta, che è stato fatto diventare donna sotto costrizione e questo lo ha portato a suicidarsi all’età di 38 anni.

L’articolo si conclude con lo spiegare che il blocco farmacologico della pubertà e degli ormoni sessuali può compromettere parti del cervello designate alla strutturazione dell’identità sessuale. Ciò comporta una inibizione dei processi fisici e cognitivi, sfociando persino nell’infertilità.

Il fact-checking

La disforia di genere è definita dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder (DSM) come «caratterizzata da una marcata incongruenza fra l’esperienza/percezione del proprio genere e quello di nascita, associata a una sofferenza clinicamente significativa o a una compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.  L’Oms, a partire dal gennaio 2022, ha inserito le “incongruenze di genere» nell’ambito delle “condizioni” di salute mentale, cioè in un contesto de-patologizzato. Durante tutto il suo articolo Roberto Pecchioli tratta la disforia di genere come una delle normali manifestazioni di confusione che si possono attraversare durante l’adolescenza e che non devono essere assecondate. 

Il ragionamento contenuto nell’articolo di Roberto Pecchioli si basa su una serie di presupposti. Pecchioli sostiene che riempire i ragazzi «di farmaci bloccanti significa inibire processi fisici e cognitivi naturali, oltreché rendere problematico o impossibile, nell’età adulta, concepire figli: il cerchio si chiude». Questa convinzione secondo cui i farmaci bloccanti porterebbero a queste conseguenze sono state più volte sconfessate da diversi studiosi. Tra tutti si può citare il report firmato da Sabine Heger, Carl-Joachim Partsch, Wolfgang G. Sippell in The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 84, Issue 12, 1 dicembre 1999, Pages 4583–4590. Secondo gli scienziati non c’è nessuna correlazione tra l’uso dei bloccanti di pubertà e possibili esiti negativi sul potenziale riproduttivo di chi ne ha usufruito. 

L’autore dell’articolo prosegue poi dicendo che «si sta attivamente agendo per indurre nelle ultime generazioni la confusione dell’identità più intima. Per descriverla, non troviamo parole diverse da crimine contro l’umanità. In giro per l’occidente fiutano l’affare e aprono cliniche per baby trans. Un ex dirigente, atterrito da ciò che ha visto e fatto, ha denunciato il centro in cui lavorava, rivelando che “le medicine che bloccano la pubertà hanno spinto sempre più minori a cercare di togliersi la vita. E i ragazzi pentiti del cambio di sesso erano trattati come appestati”». 

La possibilità che le medicine che bloccano la pubertà possano portare al suicidio i minori è stata negata anche recentemente da sette società scientifiche, dagli endocrinologi ai pediatri. In risposta a una lettera inviata al governo Meloni da parte dello Spi – la Società Psicoanalitica Italiana – gli scienziati hanno ribadito come quel tipo di farmaco sia in realtà in grado di «ridurre in modo significativo depressione, rischio suicidario e comportamenti autolesivi» negli adolescenti trattati. La sofferenza psichica dei ragazzi che presentano disforia di genere è legata, come si legge nella risposta, «al pregiudizio e allo stigma». Nella risposta si ribadisce anche come questi farmaci non siano in fase di sperimentazione, ma siano stati approvati rispettivamente dal Comitato Nazionale di Bioetica nel 2018 e da una Determina dell’AIFA nel 2019 e come siano utili a «guadagnare tempo per riflettere in modo consapevole sulla scelta di cambiare sesso» in quanto reversibili. 

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Pecchioli cita poi come esempio dei danni causati dal cambio di sesso il caso di Brian Reimar, un bambino canadese nato di sesso maschile e cresciuto come femmina a seguito di un danno ai genitali provocato da un’operazione subita in primissima età. La tragica storia del ragazzo è citata con molti errori nel corso dell’articolo. Prima di tutto il cognome del ragazzo è Reimer, non Reimar come scritto da Roberto Pecchioli e il protagonista della storia riportata non è Brian Reimer, ma il fratello gemello David Reimer, registrato alla nascita come Bruce Reimer. 

Inoltre, sebbene sia spesso usata da coloro che si assestano su posizioni ultraconservatrici, la storia di David Reimer, inconsapevole di essere forzato a riconoscersi in un genere diverso da quello di nascita subendo anche numerose violenze da coloro che hanno seguito la sua crescita non ha nessuna comunanza con l’esperienza di quei ragazzi che sperimentano la disforia di genere e che si identificano in un genere diverso da quello di nascita. Il fatto che David Reimer abbia scelto, una volta venuto a conoscenza di quello che gli era accaduto, di ritornare al suo genere di nascita e che abbia concluso la sua vita con un suicidio, non dice niente su chi intraprende un percorso che può portare al cambio di sesso. 

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