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Esclusiva

Dicembre 12 2023
Il coraggio dei Cecchettin

La famiglia di Giulia si è unita nel dolore con l’obiettivo di non rendere vana la sua morte. Il rumore ha sostituito il minuto di silenzio

Gino Cecchettin, ingegnere, la moglie Monica, tre figli, Elena, Davide e Giulia. Una famiglia come tante. Nell’ottobre 2022 la perdita di Monica dopo una lunga malattia. A Novembre 2023 il femmincidio della figlia Giulia. «Dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La morte di Giulia deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne». Così Gino Cecchettin durante il funerale martedì 5 dicembre.

Nella famiglia di Giulia il processo di elaborazione del lutto si è manifestato in modo compatto, unitario. Ciò ha sottolineato quanto la famiglia fosse animata da una missione comune: non vanificare la morte di Giulia. 

Un ruolo decisivo nello smuovere le coscienze è stato giocato da un padre che ha reagito alla tragedia per gli altri due figli, per i figli di tutti, per le altre famiglie, per le donne, per gli uomini. «I giorni passano, l’angoscia aumenta, anche le forze vengono meno», diceva Gino Cecchettin davanti alla staccionata di casa nel giorno in cui la figlia avrebbe dovuto laurearsi.

Cosa ha sbagliato la nostra collettività? Cosa hanno sbagliato gli uomini di questa collettività? È a loro che si rivolge Gino Cecchettin nell’orazione funebre. Gli uomini non sono colpevoli in modo indistinto, ma sono tutti portatori di una responsabilità. «Dobbiamo ascoltare le donne, non girare la testa di fronte ai segni di violenza, anche i più lievi», perché talora è da questi che derivano quelli più dolorosi e irreparabili.
Accettare i dinieghi, le perdite. Rispettare le donne. Non temere la loro libertà e indipendenza. Non considerarsi padroni del loro corpo. Tutto questo auspica per la società Gino Cecchettin.

In molti si sono chiesti se sarebbe arrivato l’istante in cui l’uomo avrebbe realizzato la portata emotiva di un male che si è abbattuto sulla sua vita. Il momento è arrivato solo il giorno dell’addio, dopo settimane di fermezza e fitte ore di interviste, quando di fronte ai palloncini bianchi fatti volare in cielo dagli amici di Giulia, si lascia andare ad una smorfia piena di dolore.

Cecchettin è stato definito da alcuni utenti social come un «uomo immenso», ma allo stesso tempo è stato accusato di strumentalizzare la morte della figlia per fare politica e ospitate in televisione. Hanno cominciato a circolare screenshot di commenti sessisti a lui attribuiti. Gli utenti sono rimasti sconcertati e si è fatta largo l’ipotesi che qualcuno avesse hackerato il suo profilo. «È spaventoso dover vedere simili azioni in una tragedia di queste dimensioni […]. È pertanto doveroso, per il signor Cecchettin, assumere ogni iniziativa conseguente». Si è pronunciato così il legale della famiglia Stefano Tigani in seguito ai continui messaggi diffamatori rivolti al suo assistito. 

«Ti sei svegliata per fare propaganda elettorale? Prima dormivi?» o ancora «ma questa se non era per la disgrazia gravissima della famiglia chi era?», commenti che si leggono sotto alcuni post su Instagram di Elena.

Nell’ultimo mese abbiamo imparato a conoscere anche lei. Parla ai microfoni dei giornalisti sullo sfondo della staccionata di casa che conosciamo. «Credo fermamente che la differenza non debba essere sulle spalle delle donne. Anzi, gli uomini devono fare un mea culpa, […] perché noi donne possiamo imparare a difenderci, ma finché gli uomini non si rendono conto del privilegio che hanno in questa società non andremo da nessuna parte», così due giorni dopo il ritrovamento. Il volto è stanco ma le parole sono forti e piene di rabbia.
La zia Elisa Camerotto raccontava quanto la relazione con Turetta fosse per Giulia un macigno difficile da sostenere: «Filippo era molto possessivo e giocava con Giulia, ricattandola emotivamente per continuare a vederla. Lei era buona e cedeva». Andrea, il marito, ricorda poi la bontà della ragazza, che l’ha portata a voler stare vicino a quello che è diventato il carnefice.

La sorella ha chiesto rumore. Ha cercato altre vie per parlare di Giulia e delle altre vittime. Ha riportato le persone in strada, perché l’attivismo non si consumi solo sui social media ma ricerchi uno sbocco condiviso.  

Il silenzio si trasforma in urla, piedi che battono contro il pavimento e mazzi di chiavi agitate in aria. Dobbiamo muoverci, dobbiamo farlo per Giulia e per tutte le altre.

Intervistata dai microfoni di “Quarto Grado”, la nonna Carla Gatti ha espresso il suo dolore. Ha raccontato i tira e molla tra la nipote e Turetta. Giulia all’inizio era innamorata del ragazzo, poi ha deciso di troncare il rapporto perché le stava “stretto”. La nonna le aveva dato tutto il suo appoggio, incoraggiandola a vivere la sua vita e pensare a sé. Poi il vuoto incolmabile lasciato da Giulia.

Negli ultimi giorni la signora Carla è stata al centro di polemiche. Il motivo è la presentazione del suo libro, scritto durante la pandemia. «Come si fa a presentare un libro mentre stanno eseguendo l’autopsia di tua nipote?». È questo il tenore di migliaia di commenti che circolano in rete. A nonna Carla viene contestata la scelta di aver deciso di presentare il libro durante il lutto familiare e ancora prima dei funerali. L’evento, in realtà, era già stato programmato da tempo, in occasione della giornata contro la violenza sulle donne. 

La tecnologia ci ha connesso al susseguirsi degli eventi dai primi giorni di ricerca. Ci ha resi protagonisti della storia come se Giulia fossimo noi, fosse nostra sorella, una figlia, una cara amica. Ci ha posto davanti a tanti interrogativi, punti di partenza per un lavoro collettivo.

Se i familiari fossero stati più attenti, avrebbero potuto salvare Giulia? Quanto siamo disposti ad ascoltare l’altro? La sordità del nostro tempo è favorita da una tecnologia che, se da una parte, ci fa vivere in prima persona le storie degli altri, dall’altra ci può rendere distaccati dai problemi di chi ci sta più vicino, isolati in una bolla.

«La mancanza di connessione può portare a incomprensioni e decisioni tragiche», ricorda papà Gino, ci priva del contatto umano reale.

Bisogna trovare la capacità di fermarsi e ascoltare, ma anche essere ascoltati. Lavorare in sinergia con gli altri e chiedere aiuto se ne abbiamo bisogno. Il punto di partenza? La nostra coscienza.

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