Esclusiva

Maggio 22 2024
Reclusione e respingimento, il labirinto dell’immigrazione

Sono tante le difficoltà dei migranti per ottenere e mantenere la cittadinanza italiana

La precarietà è parte della vita, soprattutto per i migranti. È il caso dell’educatore algerino Seif Bensouibat, che lavorava all’istituto Chateaubriand di Roma. A gennaio, in una chat privata su Whatsapp con colleghi e amici di scuola, aveva criticato i bombardamenti di Israele sulla Striscia di Gaza assimilando il gruppo terroristico di Hamas alla resistenza algerina che nel 1962 aveva portato all’indipendenza del Paese dalla Francia.

Il 16 maggio è stato portato dentro un Cpr e, dopo quattro giorni, il giudice di pace non ha convalidato la detenzione ribaltando il giudizio della questura che riteneva che non avesse un documento valido per l’espatrio e che potesse scappare. La ritrovata libertà di Seif è solo momentanea perché potrebbe arrivare l’avviso di espulsione immediata dal territorio italiano e il ritiro dello status da rifugiato perché ritenuto persona pericolosa per la sicurezza dello Stato italiano.

Quello che è accaduto a Seif, succede ogni giorno a tante persone. Lo sa chi si occupa di immigrazione come l’avvocato Ginevra Maccarrone che ricorda come tre siano i casi in cui si possa revocare lo status da rifugiato: nel caso ci siano state false dichiarazioni che hanno portato al suo riconoscimento, alla pericolosità sociale o se dovessero esistere fondati motivi che lo straniero possa essere una minaccia per lo Stato. Ma questa è «una categoria molto ampia. È una valutazione che si può basare anche su circostanze che non costituiscono reato. Non mi risulta che nel suo caso ci sia stato un procedimento penale con condanna».

La categoria della persona pericolosa è molto usata nell’ambito del diritto dell’immigrazione, ma il problema si pone quando manca una codifica precisa della legge perché «si espande fino alle frequentazioni e ai contatti. Anche vedere un video girato dall’Isis, organizzazione jihadista islamica, su come si costruisce una bomba è considerato elemento di pericolo».

«Il caso è un’esemplificazione di quello che stanno costruendo per il futuro», parla così Nicola Cocco medico della rete Mai più lager-no ai Cpr. Entrambi concordano sul fatto che ci sia «un disegno politico per emarginare alcuni soggetti» negando la protezione e la cittadinanza. Cocco sottolinea che per finire dentro un Cpr basta fare un illecito amministrativo, perché «in Italia se commetti un reato penale vai in carcere. Seif era un rifugiato: gli è stato ritirato lo status per le dichiarazioni fatte, è un intervento punitivo».

Il mondo della burocrazia legata all’immigrazione è un labirinto: anche la cittadinanza può essere revocata se la persona è considerata pericolosa. Se fa ricorso al tribunale amministrativo «né l’avvocato né il diretto interessato possono vedere gli atti perché sono secretati, ma solo una relazione poco esaustiva. In questo modo viene meno il diritto alla difesa», afferma Maccarone.

L’avvocato afferma che in alcuni centri per il rimpatrio chi sta dentro non riesce a comunicare con i legali perché non funzionano i telefoni. Inoltre, Seif è fortunato perché «parla italiano, ha gli strumenti per capire quello che gli viene detto e ha i soldi per pagare un avvocato, anche se ci sono quelli che lavorano con patrocinio gratuito». Francesco Ferri svolge attività di advocacy per l’Action aid e ha parlato così sulla situazione: «Seif aveva il massimo della protezione ottenibile dal nostro ordinamento: ci potrebbero essere grandissimi rischi se dovesse tornare in patria».

I Cpr sono luoghi di forte degrado e abbandono dove è a rischio la salute mentale delle persone. Il dottor Cocco, a tal proposito, parla di un’iniziativa che la Società italiana di medicina (Sim) e l’Associazione studi giuridici stanno portando avanti. Per far entrare uno straniero in un Cpr c’è bisogno che un medico dia l’idoneità, «l’obiettivo è quello di non dare il via libera», chiosa Cocco.