Esclusiva

Dicembre 4 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 17 2024
Il Belgio regolamenta la prostituzione, la nuova legge

È il primo Paese al mondo a garantire congedo di maternità, accesso alle cure e sussidi ma la disposizione lascia ancora dubbi

In Belgio una nuova norma, entrata in vigore il 1°dicembre 2024, ha riconosciuto ai sex worker dei legittimi datori di lavoro e la possibilità di firmare un contratto. Da anni né i dipendenti, né i titolari, né i clienti che comprano prestazioni sessuali sono perseguibili penalmente. Questo avvicinamento ad una regolarizzazione della prostituzione porta con sé una serie di ambiguità.

«Molti dei membri del parlamento che hanno sostenuto la regolamentazione non hanno le idee chiare. È una disposizione che manca di coerenza», spiega Esothe Aghatise, presidente della onlus Iroko e della Coalition Against Trafficking in Women (CATW). «Una donna incinta per quanto tempo può rimanere fuori dal giro? Quando le condizioni di salute sono tali da rendere lecita una non accettazione degli obblighi lavorativi? Non è specificato».

Consenso, congedo di maternità, sussidi di disoccupazione, contributi pensionistici lasciano pensare che la tutela dei diritti in Europa si stia muovendo nel verso giusto. Secondo quanto stabilito, a partire da questo mese il responsabile deve garantire un ambiente sicuro ai i suoi dipendenti, assumere qualcuno che si occupi della gestione dell’attività e consentire l’accesso alle organizzazioni sociosanitarie. I lavoratori hanno il diritto di rifiutare atti sessuali, interrompere i compiti e imporre le proprie condizioni senza penalizzazioni. «In questi contesti preservare le persone dalla violenza non è così semplice e prevedibile da poter stipulare un contratto che lo garantisca. È una finta protezione, nel caso di una donna incinta parte di questa norma prevede che la donna possa essere citata in tribunale se non vuole avere rapporti sessuali. La gravidanza dura nove mesi, una donna incinta come fa ad evitare questo tipo di situazioni?», ricorda la presidente di CATW. L’articolo a cui fa riferimento Aghatise è il numero 7 della nuova legge, che stabilisce: «Se la prostituta si è avvalsa del diritto di rifiutare determinati atti sessuali più di dieci volte in un periodo di sei mesi, il datore ha la possibilità di chiedere l’intervento del servizio designato dal Re».

Il Belgio regolamenta la prostituzione, la nuova legge

Si tratta, quindi, di obblighi lavorativi che cercano di tener conto dello stato di salute dei dipendenti, ma che richiedono una maggiore attenzione a seconda del vissuto delle persone coinvolte nell’attività. «Sex work is work» recita uno degli slogan che accompagna le proteste di chi crede nella legalizzazione. Ma per quante persone la prostituzione è un lavoro o una libera scelta? La maggior parte di coloro che esercitano questa professione, secondo quanto afferma Aghatise, non è di nazionalità belga. L’argomentazione principale di quanti si oppongono alla legalizzazione è che si rischia di alimentare la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. Secondo un rapporto del 2007 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), alcuni dei Paesi più colpiti dalla tratta a fini sessuali sono Giappone, Israele, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Italia, Turchia e Stati Uniti e le principali nazioni di origine delle vittime trafficate sono Thailandia, Cina, Nigeria, Albania, Bulgaria, Bielorussia, Moldavia e Ucraina. Queste informazioni mostrano la complessità delle dinamiche alla base della tratta. Le leggi sulla prostituzione si intrecciano in un contesto globale di violazioni dei diritti umani che oggi, a distanza di diciassette anni dal report UNODC, continuano ad esistere.

Quando, nel 2022 a Bruxelles, il sindacalista e attivista Maxime Maes pronunciava vittorioso il discorso che celebrava la depenalizzazione della prostituzione nella Capitale dell’Ue, il report elaborato da dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine nello stesso anno mostrava che il 40% delle persone vittime di tratta arrivate sul suolo dell’Europa sud-occidentale era coinvolto in dinamiche di sfruttamento sessuale. «La maggioranza delle donne che si prostituisce in questi Paesi è fatta di donne straniere. – afferma Aghatise- Ci sono pochissime persone autoctone coinvolte. Dal momento che la situazione sociale ed economica della donna migliora nei contesti in cui possono accedere a dei benefici forniti dallo Stato, coloro che sono nati lì anche in condizioni di povertà non entrano nella prostituzione e trovano altre possibilità. Alla fine sono le donne straniere a restare intrappolate nelle case chiuse». Le leggi introdotte due anni fa hanno assicurato maggiore controllo ma secondo il rapporto 2024 del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti: «Il governo belga non ha comunicato dati sulla lotta alla tratta in modo coerente di anno in anno, il che ha reso difficile valutare i suoi sforzi di applicazione della legge; inoltre, non disponeva di un sistema coerente per raccogliere dati sulle vittime e sulle forze dell’ordine nei casi di tratta, il che ha ostacolato la sua capacità di monitorare e valutare i suoi sforzi».

In un’intervista del 2016 al giornale Lettera43 lo stesso Maes aveva parlato delle condizioni di chi lavora come sex worker in Olanda e Germania: «Si rischia di legalizzare solo lo sfruttamento della prostituzione: il padrone del locale o della vetrina può infatti prendere sino al 70% del guadagno. In questo modo creano un rapporto lavoratore-padrone che non dovrebbe esistere», aveva spiegato. Le nuove leggi sulla regolamentazione delle case chiuse fanno parte del processo ma, come spiega Aghatise: «I problemi legati alla tratta, alla violenza e alla sicurezza sul posto di lavoro restano gravi e la capacità del sistema di garantire i diritti delle donne è ancora tutta da verificare».

Leggi anche: Tutto quello che i soldi possono comprare