Mohammad Abedini Najafabad, soprannominato “l’uomo dei droni”, è libero ed è atterrato ieri a Teheran intorno alle 9. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, dopo 27 giorni di detenzione, ha firmato la revoca della custodia cautelare, bocciando così anche la richiesta di estradizione negli Stati Uniti. Le accuse, supporto ai Pasdaran con droni e materiali elettronici e violazione delle leggi su esportazioni e sanzioni, non hanno «corrispondenze nell’ordinamento penale italiano» – dunque in base agli accordi bilaterali il prigioniero non è estradabile – e «non ci sono prove» sufficienti, è la posizione del guardasigilli.
L’ingegnere iraniano, su cui pendeva un mandato di cattura internazionale, era stato fermato dal FBI all’aeroporto di Milano Malpensa tre giorni prima dell’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran, poi liberata l’8 gennaio. Per Ettore Rosato, il segretario del Copasir e deputato di Azione, sarebbero «vicende inevitabilmente collegate», ma «gestite in punta di diritto dal governo italiano. Bene che ci sia un esito di questo tipo e che la cosa sia stata gestita nel rispetto dei rapporti diplomatici, per quanto con l’Iran si possano avere rapporti diplomatici», spiega a Zeta. «Il legame? Non l’abbiamo costruito noi, l’ha costruito l’Iran con l’ingiusta detenzione della Sala. Dopodiché l’Italia nella liberazione di Abedini ha operato nel rispetto delle norme internazionali e del nostro ordinamento interno. Mi sembra che cercare maggior trasparenza in una vicenda del genere sia quasi provocatorio, che non ci sia la conoscenza di chi sono gli iraniani e di come si comportano». Il riferimento è al collega dell’opposizione Angelo Bonelli, portavoce di Avs, che in una nota precisa che la scarcerazione è stato «un atto giusto, di sano realismo», ma anche una «conferma che la liberazione della nostra connazionale è stata la conseguenza di un accordo di scambio tra Iran e Italia. Meloni avrebbe dovuto dire agli italiani che il governo aveva concordato questo percorso».
I due casi si erano inevitabilmente intrecciati con il sospetto che il trattenimento della giovane reporter italiana fosse una mossa di Teheran per fare pressione sull’Italia. Nonostante il governo abbia più volte smentito il collegamento, «sono vicende separate» aveva detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani escludendo «dietrologie» e «diplomazie degli ostaggi», l’impressione è che a pesare sul rilascio di Sala sia stato proprio quel «lavoro di triangolazione con gli Stati Uniti» menzionato dalla premier Giorgia Meloni nel corso della conferenza stampa del 9 gennaio. La stessa Presidente del consiglio che una settimana fa, con un viaggio lampo, aveva incontrato il presidente eletto Donald Trump nella sua residenza di Mar a Lago, precisando che sulla vicenda era in corso un «vaglio tecnico e politico, con gli amici americani».
Abedini, detenuto nel carcere di Opera in regime di stretta sorveglianza, mercoledì si sarebbe presentato in aula a Milano all’udienza per la richiesta dei domiciliari. Poi la svolta al caso impressa dal ministro Nordio. Un «malinteso», risolto grazie alla «cooperazione di tutte le parti interessate», si legge in un comunicato del ministero degli Esteri iraniano. A smentire le ricostruzioni, per cui le accuse a Sala di violazione della legge islamica sarebbero state la “ritorsione” per il trattenimento dell’ingegnere, era stato anche il governo di Teheran. Scenario che trovava riscontro, però, nelle parole dell’ambasciatore iraniano che già il 2 gennaio legava le condizioni detentive dei due.
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