«Il 7 ottobre 2023 è stato lo spartiacque del Medio Oriente, dove c’è un effetto domino», dice Sharon Nizza – giornalista freelance esperta di Israele – spiegando che la caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria è collegata anche all’invasione di Hamas contro lo Stato ebraico del 7 ottobre 2023. «In Medio Oriente non è importante ciò che vedi, ma ciò che avviene dietro le quinte», aggiunge.
«Molte dinamiche nella regione le capisci dalle relazioni tra Israele e Egitto», il primo Paese arabo a riconoscere lo Stato ebraico con un trattato siglato nel 1979 a Washington, la capitale degli Stati Uniti: «è una pace fredda tra Egitto e Israele, che hanno un accordo di tipo strategico e politico», sostiene Nizza.
Affinché il giorno dell’aggressione di Hamas «non sia mai dimenticato», la giornalista ha scritto il libro «7 ottobre 2023 Israele, il giorno più lungo» e intrecciato testimonianze di persone con la cronaca incentrata su 4 kibbutz. All’inizio, nei pressi di Gaza era un giorno di gioia, «diventato poi un massacro» al Supernova Festival, dove sono morti moltissimi giovani. Le persone erano a riposo perché il 7 ottobre 2023 era il giorno dello Shabbat – corrispondente al sabato – e coincideva con la Simchat Torah, una festività ebraica. Riconoscendo che Israele è un Paese piccolo e poco abitato, ma «con un’economia e un esercito forti», la giornalista afferma che ci sono voluti due mesi prima che le autorità israeliane avessero la lista completa delle vittime dell’attacco di Hamas.
Nizza ricorda bene quella giornata di inizio ottobre, stava andando a fare una gita con amici nel sud, vicino alla Striscia di Gaza, quando all’improvviso «hanno chiuso tutte le strade». Ha capito la gravità della situazione «solo alle 10 del mattino», quando è circolata la notizia della morte di Ofir Libstein, suo conoscente e sindaco di Sha’ar HaNegev, ucciso nel kibbutz Kfar Aza «mentre combatteva contro i terroristi»: «Avevo chiaro che sarebbe stato il più grande attacco contro lo Stato di Israele», racconta. Ha pensato subito che sarebbe stata «una tragedia».
Nizza ha lavorato come «stringer» – una sorta di guida nel giornalismo – in Israele, cercando di fare «fact-checking» per capire cosa rientrasse nella «guerra di propaganda» e aiutando i colleghi che non conoscevano il territorio. Per lei, nel mondo del giornalismo istantaneo «tutto è filmato, in particolare la storia delle persone», ma bisogna tener presenti le questioni della privacy e della morale per capire che cosa pubblicare, anche perché «le considerazioni di un esercito sono diverse da quelle dei media». Nizza parla di «battaglia delle immagini», alla luce dei contenuti sull’aggressione di Hamas: «L’attacco è stato riportato dagli invasori in prima persona con video di GoPro-camera».
Necessario è, secondo lei, «verificare» le notizie il più possibile, «anche se viviamo nel mondo online in cui non hai tempo e devi pubblicare subito». Lo dice con chiarezza: «È meglio non condividere nulla rispetto a condividere qualcosa che non hai la certezza sia vero», perché «i primi numeri e titoli sono quelli che rimangono impressi nell’opinione pubblica».