Esclusiva

Gennaio 30 2025
Di notte in fila per un diritto, l’inferno di chi aspetta il permesso di soggiorno

Sono centinaia i cittadini stranieri che si accalcano davanti all’ufficio immigrazione della questura di Roma, in via Patini. Un’emergenza che è diventata tragedia

I primi della fila, appoggiati alle ringhiere, sono davanti alla questura di via Patini a Roma da 16 ore. La speranza per i cittadini stranieri che passano lì la notte è di ottenere un appuntamento per formalizzare la richiesta di asilo o rinnovare il permesso di soggiorno: «Veniamo qui ogni giorno da due settimane». Tra tende di fortuna e materassi stesi a terra la coda continua a crescere anche all’alba. Dal primo autobus del mattino scendono altre decine di persone, soprattutto famiglie con bambini, per incolonnarsi devono risalire via Salviati, una strada trafficata e senza marciapiede, dove finisce la coda. L’ufficio immigrazione apre alle 8:30, ma già dalle 8 arrivano i poliziotti e inizia lo smistamento.

Sono scene già viste, frutto di un problema strutturale che non interessa solo Roma. Nelle scorse settimane, le immagini di decine di persone accampate fuori dalla questura di Torino in Corso Verona avevano attirato l’attenzione di media e istituzioni. Pochi giorni dopo è toccato a Roma, dove l’emergenza ha assunto contorni tragici. Nella notte tra il 27 e il 28 gennaio, è morto un uomo che si era accampato davanti all’ufficio immigrazione. Secondo la questura, si tratterebbe di un cittadino rumeno, comunitario. «Aveva trovato riparo in un giaciglio di fortuna nei pressi dell’ufficio immigrazione, è stato ritrovato da una terza persona privo di sensi. Le forze di polizia ed i soccorsi sanitari, prontamente intervenuti sul posto, ne hanno purtroppo constatato il decesso», si legge nella nota. Fonti della procura aggiungono che era stato portato in ufficio perché irregolare e non aveva formalizzato la sua posizione come comunitario. «Dopo verifiche è stato interessato da ordine di allontanamento, avrebbe dovuto lasciare il Paese entro sette giorni. Si è accampato fuori, ma non era in fila per permesso di soggiorno. Era del 1978, ha avuto malore».

Una ricostruzione che non convince le associazioni che si occupano del supporto a migranti e richiedenti asilo. «Era una morte annunciata», ha denunciato Mattia Gregorio della Federazione del sociale, durante il presidio organizzato dall’Unione Sindacale di Base. «Siamo qua per una questione di dignità e di giustizia – continua – verso una persona che è morta per il razzismo istituzionale. Una persona di cui non sappiamo neanche il nome». Alcuni degli stranieri in attesa avevano allertato l’associazione già alle quattro di mattina di mercoledì 29 gennaio: «Era stata appena vista la polizia mortuaria, un segnale che era successo qualcosa di grave». Alle otto il corpo non c’era più, nessuno delle persone che erano in fila conosceva l’uomo, ma alcuni di loro avrebbero testimoniato che fosse in attesa di una richiesta d’asilo.  «Non crediamo alla tesi della questura», spiega Gregorio, «perché ci sembra irrealistico che un cittadino comunitario si fosse accampato proprio nella fila dei richiedenti asilo. Ci è stato detto che era lì dalle dieci di sera. Mettersi in coda a quell’ora e in quel luogo è una modalità che seguono i cittadini stranieri che intendono richiedere la protezione internazionale». Secondo la questura, però, l’uomo si trovava lì dopo aver ricevuto un ordine di allontanamento. «È una spiegazione lacunosa. Poi tutto può essere. Resta il fatto che un cittadino straniero è morto mentre era accampato sulla soglia di un ufficio pubblico. Come tanti altri richiedenti asilo anche stanotte, poteva benissimo essere uno di loro. Monitoriamo da anni insieme alle associazioni di migranti la situazione alla questura di via Patini e tutti sanno che esiste questa prassi».

Un report realizzato dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha mappato le pratiche illegittime adottate dalle questure italiane nel trattamento delle richieste di protezione internazionale e permessi di soggiorno. In molte province ai richiedenti asilo è impedito l’accesso o la registrazione della domanda (60% delle risposte al sondaggio) e le questure chiedono documenti non previsti dalla legge, come la dichiarazione di ospitalità o il passaporto, ostacolando l’accesso alla protezione. L’analisi ha documentato anche l’uso strumentale dei tempi di attesa: tra la presentazione e la formalizzazione delle domande possono passare più di sei mesi, durante i quali ai richiedenti è negato sia il permesso di soggiorno sia l’accesso all’accoglienza.

Dopo le 8:30 la fila si accorcia, i cittadini stranieri tengono strette le cartelline con i documenti e si aggrappano alle ultime speranze. «Devo rinnovare il permesso di soggiorno, altrimenti non posso lavorare», racconta Lamine, un ragazzo originario del Gambia, «vengo qui ogni giorno, ma non mi hanno mai dato un appuntamento». È in Italia da tanti anni e conosce bene le lungaggini dei processi: «Non ce la faccio più – confessa – se neanche oggi mi ricevono, proverò ad andare a Milano, e da lì in Svizzera, in Germania, via da qui». Non vuole più aspettare, sa che in via Patini di attesa si può anche morire.

Leggi anche: La mappa dei migranti, un decennio di tragedie silenziose