Esclusiva

Febbraio 4 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 5 2025
Morire di cpr: «Non sono posti in cui si può resistere. Io ci sono stato»

I familiari di Ousmane Sylla e Moussa Balde hanno ricordato i loro fratelli morti nel 2024 e nel 2021 nei centri per rimpatri italiani

«Ousmane era venuto qui per seguire il suo sogno e non capisco come sia potuta finire così». Gli occhi di Maryam Sylla si inumidiscono mentre parla di suo fratello, Ousmane, suicidatosi il 4 febbraio 2024 nel cpr di Ponte Galeria alla periferia di Roma. A un anno dalla sua morte la Rete No Cpr ha invitato i familiari del ragazzo a parlare a una conferenza pubblica nella capitale tenutasi il 4 febbraio 2025 presso il polo civico Esquilino. 

Ousmane aveva ventidue anni, era nato in Guinea ed era arrivato da 7 mesi in Italia. «Quando è arrivato – racconta Maryam – ha chiamato nostra madre e le ha detto che non si doveva più preoccupare, il peggio era passato».

Voleva fare il cantante, desiderava andare in Francia per ricongiungersi con il fratello che abitava lì.

Appena arrivato in Italia aveva dichiarato di essere un minore e per questo era stato portato in una comunità a Ventimiglia. Poi da lì era stato trasferito in una struttura a gestione familiare di Cassino, in seguito chiusa. Lì Ousmane aveva denunciato le sue condizioni di detenzione. Aveva interrotto la riunione del consiglio comunale per farlo, per dire che veniva picchiato e maltrattato. 

In quel momento ha ricevuto un decreto di espulsione, è stato trasferito nel cpr di Trapani dove era rimasto fino al 22 gennaio, quando in seguito a un incendio avvenuto nella struttura era stato portato a Roma, a ponte Galeria. 

Lì ha resistito meno di un mese: quel posto, racconta chi lo ha visitato, sembra un manicomio. Le persone sono ammassate, non si riesce a dormire e vengono usati psicofarmaci per sedare i migranti. 

Ousmane dentro non ci poteva stare. Prima di suicidarsi ha lasciato un messaggio sulle pareti di Ponte Galeria, probabilmente scritto con la cenere di una sigaretta: «Se morissi vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta. I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace».

I suoi familiari hanno saputo solo dopo due settimane della sua morte, la sorella l’ha scoperto grazie a un post pubblicato su Facebook. Quando la madre ha saputo la notizia ha detto: «Vedete, facevo bene a preoccuparmi».

Ousmane non è stata l’unica vittima dei cpr. Dal 2019 sono morte quattordici persone migranti nei centri per rimpatri. Nel 2021 a Torino un altro ragazzo, Moussa Balde, ventitré anni, anche lui proveniente dalla Guinea, si era tolto la vita nel reparto ospedaletto del cpr della città. Si era impiccato con le lenzuola, dopo quattro anni che viveva in Italia, dove aveva preso la licenza media e pensava di costruirsi un futuro. 

Era stato rinchiuso nel Cpr di Torino dopo che era stato aggredito e pestato a sangue mentre chiedeva l’elemosina a Ventimiglia. Le forze dell’ordine ne avevano disposto il rimpatrio, spostato nel centro del capoluogo piemontese. Lui però non voleva starci lì. 

Oggi suo fratello Moustapha continua a parlare di lui e a raccontare la sua storia: «Non sono posti in cui si può vivere. Io ci sono stato, ho visto l’isolamento cui è stato sottoposto mio fratello. Lì non si può mangiare bene, non si può dormire bene. Noi ora dobbiamo lottare, continuare a farlo per chi ancora è lì dentro». 

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