Esclusiva

Febbraio 11 2025
«Il governo ha fretta perché teme il no della corte Ue», la trasformazione dei centri albanesi in Cpr

L’unico modo per attuare l’idea di Meloni consiste nel modificare il protocollo tra Roma e Tirana, ma i dubbi giuridici non mancano

Modificare la lista dei “Paesi sicuri” non è bastato, spostare le competenze dalle sezioni Immigrazione alla Corte d’appello di Roma neanche. Il governo Meloni sta pensando quindi a un nuovo decreto per trasformare le strutture in Albania di Shengjin e Gjader in veri e propri Centri per il rimpatrio (Cpr) dove trasferire gli immigrati, irregolari o destinatari di un decreto di espulsione, che si trovano negli hotspot e nei centri di accoglienza italiani.

«È solo un modo per nascondere il fatto che il progetto non funziona», commenta Emilio Santoro, professore di Filosofia del diritto dell’università di Firenze e presidente del comitato scientifico dell’associazione L’altro diritto. «La linea politica sull’immigrazione resta uguale: invece che costruire un nuovo Cpr in Italia stanno spostando oltremare i migranti per riempire i posti vuoti in modo da non finire nel mirino della Corte dei conti».

Per fare questo, però, il protocollo firmato nel novembre 2023 dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il premier Edi Rama dovrebbe essere sottoposto ad alcune modifiche, come avverte l’avvocata Ginevra Maccarrone, specializzata in diritto dell’immigrazione e diritto d’asilo, «perché adesso sicuramente non è prevista questa possibilità. Bisogna poi capire se le strutture albanesi si trovino sul territorio italiano oppure, come è scritto in alcune parti del protocollo, “sotto la giurisdizione italiana”, perché in quel caso non si possono trasferire le persone da un territorio a un altro».

A Gjader, per esempio, i migranti possono rimanere per un massimo di ventotto giorni, mentre in un Cpr il tempo di permanenza può arrivare fino a diciotto mesi: «È necessario trovare un nuovo accordo con l’Albania che sia poi ratificato dal Parlamento». Ma con il passare delle ore da Tirana arrivano notizie negative per Meloni: il premier non sembra intenzionato a modificare il protocollo, mentre le opposizioni non vedono l’ora che i centri vengano smantellati.

La mossa del governo arriva una settimana dopo che i giudici hanno rigettato la decisione delle Commissioni territoriali che a loro volta avevano respinto le richieste d’asilo ai 43 migranti provenienti da Egitto, Bangladesh, Gambia e Costa d’Avorio, il 28 gennaio. Prima che il governo li esautorasse, erano stati i magistrati della sezione Immigrazione di Roma a esprimersi sui trattenimenti albanesi in due occasioni, entrambe con lo stesso risultato: i migranti sono stati portati in Italia per essere sottoposti alle procedure ordinarie.

Anche se sono cambiati i magistrati, la decisione sulla convalida del trattenimento dei migranti in Albania non è mutata. E ora la presidente Meloni, il sottosegretario di Palazzo Chigi Alfredo Mantovano e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi cercano di correre ai ripari. Era troppo ottimista chi ipotizzava che il governo avrebbe aspettato il 25 febbraio. In quel giorno la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) sarà chiamata a dare l’interpretazione definitiva sul concetto di “Paese sicuro” dei richiedenti asilo, come hanno chiesto alcuni tribunali italiani con un rinvio pregiudiziale, tra cui anche la Cassazione. Ma a riguardo Santoro suggerisce un’interpretazione: «Ho il sospetto che il governo abbia il sentore che la Corte gli darà torto, perché se no aspetterebbero la sentenza».

Un aiuto al governo Meloni potrebbe arrivare dalla Commissione europea: la presidente Ursula von der Leyen dovrebbe annunciare a marzo una nuova direttiva per i rimpatri da Paesi terzi, ma l’iter legislativo «potrebbe essere piuttosto lungo, – continua l’avvocata – possiamo immaginare che valgano le stesse tempistiche che si sono rese necessarie per l’entrata in vigore del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. È stato approvato nel 2024, ma sarà operativo soltanto a giugno 2026».

La trasformazione dei centri albanesi in Cpr potrebbe portare alle estreme conseguenze alcune criticità che si riscontrano già in Italia: «Allontanare le persone da qui – continua Maccarrone – significa sottrarle al controllo della società civile. Conosciamo bene quello che succede all’interno di questi posti, ma questo diventa ancora più grave nel momento in cui il trattenimento può durare fino a diciotto mesi. Il protocollo prevede che all’interno delle strutture sia assicurata un’assistenza sanitaria, ma non c’è un ospedale che funzioni come in Italia».