Esclusiva

Febbraio 27 2025
Is This What We Want?, la provocazione di 1000 UK Artists contro l’IA

Il silent album realizzato dal collettivo britannico solleva interrogativi sul futuro della creatività nell’era dell’intelligenza artificiale

Si intitola Is This What We Want? ed è un silent album prodotto dal collettivo 1000 Uk Artists per protestare contro la proposta del governo britannico di concedere alle società di intelligenza artificiale l’accesso illimitato a opere intellettuali, incluse musica, libri e spettacoli, per l’addestramento dei loro sistemi. Secondo questo disegno di legge, agli autori non verrebbe chiesta né l’autorizzazione all’utilizzo delle loro opere né sarebbe corrisposto un compenso. Una mossa che va in direzione opposta rispetto alle norme sulla tutela dei diritti d’autore che fino ad adesso sono stati dei capisaldi nelle legislazioni degli stati europei. 

Pubblicato il 25 febbraio sulle maggiori piattaforme di streaming musicale, l’album si compone di dodici tracce che riproducono rumori di fondo. Niente musica o voci. A rendere ancora più chiaro lo scopo di quest’opera così originale i loro titoli, che messi in fila compongono la frase The British Government must not legalise music theft to benefit AI Companies. Un modo per attirare l’attenzione del grande pubblico sull’impatto, a loro dire devastante, che l’IA sta avendo sull’industria musicale e discografica.

L’album è firmato collettivamente dai mille artisti coinvolti, tutti accreditati come co-autori, sebbene ogni traccia sia stata realizzata da un singolo musicista rimasto anonimo. Tra i nomi più noti ci sono quelli di Annie Lennox, Damon Albarn, Kate Bush, Paul McCartney, Elton John, Björn Ulvaeus degli Abba, oltre a Tori Amos, Billy Ocean, i Clash e il compositore premio Oscar Hans Zimmer. La paura che tutti questi artisti condividono è quella di vedersi privati della loro arte e della possibilità di produrre nuove opere. Il rischio che i sistemi di intelligenza artificiale monopolizzino il panorama musicale, svuotandolo della creatività umana, non è poi così campato in aria per loro.

In una dichiarazione a Wired, rivista specializzata in nuove tecnologie, Ed Newton-Rex, compositore britannico ed ex manager nel settore AI, ha sottolineato come mettere la vita dei musicisti nelle mani delle società di IA avrebbe delle conseguenze disastrose, perché permetterebbe a questi sistemi di sfruttare il loro talento per poi sostituirli. In questo modo si danneggerebbe una delle industrie creative più importanti al mondo.

Secondo alcuni, però, questo tentativo è comprensibile ma inefficace, un po’ come cercare di trattenere l’acqua di un fiume con le mani. Esistono già piattaforme di intelligenza artificiale capaci di generare canzoni o addirittura intere colonne sonore in pochi secondi, scrivendo un semplice prompt. Programmi sempre più sofisticati che possono clonare voci o crearne di nuove assai verosimili. Il mondo della musica, quello del cinema e tutti gli ambiti lavorativi che valorizzano le opere dell’ingegno umano, sembrano essere minacciati dalla velocità e dall’efficienza dei sistemi di intelligenza generativa. Una contrapposizione che segnerà il nostro prossimo futuro. 

La scorsa estate è entrato in vigore in Unione Europea l’AI Act, un regolamento che, nelle intenzioni dei legislatori, dovrebbe promuovere lo sviluppo e la diffusione responsabile dell’intelligenza artificiale nel continente. Tuttavia, la legge europea sul copyright a cui fa riferimento risale al 2019, cioè ad un momento storico precedente al debutto di Chat-gpt e alla diffusione massiccia del data mining, il processo di estrazione delle informazioni e manipolazione dalle opere d’ingegno. Dal prossimo agosto tutte le aziende dovranno dichiarare quali dati utilizzeranno per l’allenamento dei loro modelli, ma non ci sono ancora dettagli sull’attuazione di questa parte del regolamento. Ecco perché diverse associazioni culturali si stanno appellando perché ci sia maggiore chiarezza sulla regolamentazione e la protezione del diritto d’autore.   

In un’intervista a Wired Stefano Mastruzzi, direttore del Saint Louis College of Music di Roma, ha ricordato che il futuro della musica e delle arti rimane una nostra responsabilità, perché è da noi esseri umani che dipende il modo in cui verrà utilizzata l’IA. Le nuove tecnologie, è vero, hanno reso accessibili a tutti professioni che prima necessitavano di competenze specifiche, ma non bisogna giocare al ribasso. C’è ancora una grande differenza tra un prodotto tecnicamente ben riuscito e uno realizzato con un’idea artistica dietro. Secondo il musicista, perciò, la vera sfida è un’altra: trasformare l’IA in uno strumento che un vero artista, interprete del proprio tempo, possa usare in maniera consapevole per poter creare nuove opere e superare i propri limiti. 

Che siano d’accordo oppure no con questa tesi, tutti gli artisti dovranno fare i conti con l’esuberanza creativa delle intelligenze artificiali, e spingere la società civile e i governi a trovare un equilibrio tra innovazione e tutela della creatività umana. 

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