Una rivoluzione si accendeva nella notte della Capitale, sul palco, performance drag e concerti si trasformavano in potenti dichiarazioni politiche. Molti intellettuali italiani collegavano questa effervescenza culturale alla nascente battaglia per i diritti queer, rendendo le piste da ballo anche campi di lotta ideologica.
Andrea Pini, militante nel movimento gay dal 1979 e tra i fondatori del Circolo Mario Mieli, offre una testimonianza preziosa sul contesto storico: «In quegli anni in Italia è nato il FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), era un gruppo di amici, prevalentemente torinesi, romani e milanesi, ma erano piccoli gruppi. Quasi tutti maschi, pochissime donne lesbiche o amiche, che hanno cominciato a reagire al generale stato di silenzio assoluto e di negazione di qualsiasi spazio nei confronti dell’omosessualità. All’epoca di omosessualità non se ne parlava, se se ne parlava parlava se ne parlava male. »
“Quando eravamo froci” è il titolo del suo libro più celebre, dove la storia queer dal secondo dopoguerra ad oggi prende vita. Già dal titolo, viene espressa l’idea di una rivendicazione e riappropriazione dei termini e delle libertà della comunità. «La parola frocio», spiega Andrea, «è sempre stata usata in maniera offensiva e così te la risbatto in faccia, così da far saltare dalla sedia chi non è abituato a sentirla in un discorso serio». L’intento è dare per la prima volta una voce agli omosessuali e agli esponenti LGBT+ attraverso cinquanta interviste che testimonino la diversificazione queer in tutte le sue sfaccettature: artistiche, legali, religiose e sociali.
«La parola omosessuale veniva pronunciata in occasioni pubbliche praticamente mai, c’erano tanti sinonimi ma anche quelli erano un gergo che si poteva scambiare maniera offensiva tra amici, ma sui giornali, nei discorsi pubblici, nei discorsi istituzionali, nella politica, nel sindacato e in tutte le istituzioni che già esistevano allora la parola omosessuale non esisteva e non veniva mai pronunciata. Nella cronaca nera invece appariva il fantasma dell’omosessuale “brutto sporco e cattivo” e non è un caso, perché era era sempre una rappresentazione dell’omosessuale legato a fenomeni di devianza».
Mario Mieli rappresenta una delle figure più rivoluzionarie e significative della scena queer romana degli anni ’70. Autore del fondamentale testo “Elementi di critica omosessuale”, Mieli sfidò apertamente le convenzioni sociali e le categorizzazioni di genere, adottando un abbigliamento femminile come forma di espressione personale e politica. La sua opera intellettuale pose le basi per gli studi queer in Italia, introducendo prospettive innovative sulla sessualità e sull’identità. La sua vita terminò tragicamente con il suicidio nel 1983, proprio l’anno in cui venne fondato il Circolo di Cultura Omosessuale che porta il suo nome.
Il lavoro di questi attivisti contribuì in modo determinante a creare una prima, significativa visibilità della comunità LGBTQ+ nell’Italia degli anni ’70. Prima di loro, l’omosessualità era relegata principalmente alla dimensione dello scandalo o del pettegolezzo; grazie alle loro azioni pubbliche, alle pubblicazioni e alle manifestazioni, l’identità queer acquisì progressivamente una dignità politica e culturale precedentemente negata.
L’emergere di figure pubblicamente e orgogliosamente omosessuali nell’Italia degli anni ’70 contribuì gradualmente a modificare il linguaggio e l’immaginario collettivo intorno all’omosessualità. Da tabù innominabile o oggetto di derisione, l’identità gay iniziò a essere discussa in termini politici e culturali, avviando un lento ma inesorabile processo di trasformazione della percezione sociale.
La vita notturna queer di Roma negli anni ’70 ebbe un impatto culturale che andò ben oltre il semplice intrattenimento. I locali notturni, gli eventi culturali e le performance artistiche di questo periodo contribuirono a creare una sottocultura vibrante che influenzò la moda, la musica e l’arte dell’epoca, funzionando come laboratori sociali dove le barriere venivano abbattute.
La fine degli anni ’70 vide una crescente visibilità della comunità LGBTQ+ grazie a questi personaggi pubblici, spettacoli teatrali e film che attiravano un pubblico eterogeneo. Nonostante gli attacchi omofobi fossero ancora frequenti, la cultura queer iniziava a conquistare spazi significativi nella società italiana, piantando i semi di quella rivoluzione culturale che sarebbe fiorita nei decenni successivi.
Queste persone, con le loro storie individuali e collettive, hanno rappresentato la vera anima della Roma queer degli anni ’70: una comunità che, nonostante la marginalizzazione e le difficoltà, ha saputo creare spazi di libertà, elaborare un pensiero originale e gettare le basi per un futuro più inclusivo.