«Siamo pronti a evacuare i feriti, i traumatizzati, gli orfani» ha dichiarato il presidente indonesiano Prabowo Subianto. L’Indonesia è pronta a farsi carico dell’accoglienza temporanea di civili palestinesi colpiti dalla guerra in corso a Gaza. Un primo gruppo potrebbe comprendere fino a mille individui, che riceverebbero assistenza medica e supporto umanitario sul territorio indonesiano, in attesa di un miglioramento della situazione nella Striscia.
«L’Indonesia fin dall’epoca di Sukarno ha seguito una politica, in linea di massima, pro palestinese», spiega Aniello Iannone, docente di analisi politica indonesiana presso l’Università di Diponegoro, nella zona centrale di Giava. Il sentimento di vicinanza ha radici storiche e religiose, essendo l’Indonesia il Paese con la più grande popolazione musulmana al mondo. Tuttavia, secondo il politologo, la dichiarazione di Prabowo va letta soprattutto in chiave interna: «È un modo per recuperare consenso» dopo mesi di governo segnati da proteste, crisi economica e misure impopolari. In particolare il presidente ha cercato il favore della comunità musulmana, la maggioranza religiosa del paese.
Nel tentativo di rafforzare il proprio profilo presso l’elettorato, il presidente ha lanciato una campagna populista, come il programma del “cibo gratis per gli studenti”, giudicato fallimentare. Contestualmente, ha riattivato la controversa “doppia funzione” dei militari, permettendo loro di detenere potere economico e politico, con il rischio di una deriva autoritaria. «Questo ha provocato proteste e dissidenza politica». Ad aumentare il dissenso l’economia al collasso: «In tre mesi ha deprezzato la rupia e questo ha portato a problemi a livello di lavoro».
Alla situazione interna complessa si aggiungono delle complessità legali. L’Indonesia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 né il Protocollo del 1967 sui rifugiati. «Non esiste un quadro normativo che tuteli chi arriva nel Paese in cerca di asilo. Lo abbiamo già visto con i Rohingya e gli afghani: una volta qui non possono studiare, lavorare, non possono accedere alla sanità pubblica. Non possono fare nulla, se non aspettare che poi vengano portati da un’altra parte». Dunque, l’eventuale accoglienza dei palestinesi si scontrerebbe con ostacoli concreti: «Dove andrebbero? Come sarebbero integrati? In un Paese dove non c’è lavoro neanche per gli indonesiani, sembrano più parole al vento che un’azione concreta».
Il tempismo dell’annuncio appare significativo: Prabowo lo ha fatto anticipando la visita in Medio Oriente. Durante il viaggio, ha fatto tappa in Turchia, dove ha incontrato il presidente Recep Tayyip Erdogan: qui il presidente indonesiano ha invocato la soluzione a due stati come «unica possibile soluzione» della Guerra a Gaza.
Secondo Iannone, però, le visite diplomatiche avrebbero celato un interesse economico e commerciale: «Gli Emirati vedono, dopo Malesia e Taiwan, la maggiore diaspora indonesiana che lavora in quel Paese. La questione palestinese non può essere risolta senza parlare con i soggetti coinvolti», spiega il docente di Diponegoro.
A rendere difficoltoso il piano di accoglienza dei rifugiati gazawi ci sarebbero poi le contraddizioni culturali. «La visione islamica del Medio Oriente è molto diversa da quella indonesiana. La solidarietà religiosa non basta a garantire una reale integrazione», osserva Iannone. «E poi c’è una domanda chiave: i palestinesi vogliono andare in Indonesia? Dovremmo chiederci cosa vuole fare il soggetto interessato».
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