«Siamo figli di quelle vespe, di quelle spine nel fianco dell’occupazione nazi-fascista, trascinate fuori dalle loro case» sono le parole della giovane studentessa e responsabile dell’organizzazione rete studenti del Lazio Giulia Mingozzi, 21 anni, durante il corteo in ricordo degli 81 anni dal rastrellamento del Quadraro avvenuto il 17 marzo 1944.
Il rastrellamento del Quadraro è stata una delle più grandi deportazioni avvenute nella città di Roma, seconda solo al rastrellamento del ghetto romano. Si stima siano tra le 700 e le 800 persone deportate, ma sono 718 i nomi conosciuti. «Il quartiere fu circondato dalle forze di polizia fascista e dalla Wehrmacht nazista, che deportarono oltre 700 abitanti in Polonia, in Germania e Austria, dove furono venduti come schiavi alle fabbriche tedesche» spiega Fabio Pari, volontario dell’ANPI di Roma, l’Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani.
«Il nido di vespe: inaccessibile e impenetrabile»
L’”operazione balena” – nome in codice dell’operazione – fu condotta dal generale nazista Herbert Kappler. «Era una vendetta di matrice politica tesa a punire il Quadraro, considerato un nido di vespe, che da allora mantiene questa definizione: inaccessibile ed impenetrabile, sapevano che metà erano partigiani e l’altra metà nascondevano partigiani, membri della resistenza, soldati, ebrei» continua Pari.
«Il quadraro era una spina nel fianco delle truppe germaniche: qui c’era la resistenza intellettuale, qui erano tutti antinazisti e antifascisti». L’immagine delle vespe è ancora oggi un simbolo del quartiere: un grande murales, realizzato dall’artista Lucamaleonta, raffigura sullo sfondo di un alveare sei grandi vespe, con accanto la scritta «you are entering the free quadraro / stai entrando il quadraro libero».
«Il termine vespa è preso dalle memorie del console tedesco a Roma, Friedrich Moellhausen. Nella Carta Perdente, il suo libro, ha scritto – in riferimento al Quadraro- “Volevamo farla finita come un nido di vespe”» spiega lo scrittore del libro sul rastrellamento del quadraro ‘La borgata ribelle’ Walter de Cesaris. «Le vespe sono divenute il simbolo romano della capacità della resistenza romana di essere efficace, pungente e fastidiosa per gli occupanti»
«Furono riconosciuti come deportati solo nel 2004»
Il rastrellamento del Quadraro, nonostante avvenga in continuità con l’eccidio delle Fosse Ardeatine, ordinate dallo stesso Kappler un mese prima, è rimasto a lungo nascosto e dimenticato.
«La damnatio memoriae, è avvenuta perchè (i deportati) sono stati obbligati a firmare come lavoratori volontari: non hanno così avuto il riconoscimento di deportati. In realtà era una finzione, fu una scelta obbligata e con le armi», racconta de Cesaris di fronte al graffito di una grande vespa nera. Le carte che attestavano la volontarietà della scelta non permisero per anni che il rastrellamento fosse riconosciuto come tale.
«Non ebbero il riconoscimento come deportati politici fino a che, nel 2004 – 60 anni dopo – il Presidente della repubblica Ciampi ha riconosciuto il valore di questo fatto e ha dato la medaglia d’oro al Quadraro per il valore alla resistenza». Solo allora arriva il riconoscimento di deportazione nazista: «è solo un grimandello di una storia più complessa, quella della resistenza a Roma che ancora è una storia non completamente scritta» conclude lo scrittore.
“Presero tanta gente, proprio tanta”
«Volevano colpire gli uomini, che erano in grado di combattere» – uomini dai 16 ai 65 anni d’età. A parlare è Sergio Cardinali, presidente del collegio sindaci ANPI Roma. Cardinali ricorda anche la poesia di Aldo Poeta, il cui ritornello è divenuto un inno in memoria dell’attacco nazista:
Presero tanta gente, proprio tanta /Giovani anziani e li contorno appena /Presero tanta gente, proprio tanta /Furono più di settecencinquanta
Secondo Alessandro Luparelli, Consigliere al Comune di Roma e Capogruppo della lista Sinistra Civica Ecologista, l’elemento fondante del quadraro è la solidarietà popolare. Il quartiere «viveva in condizioni di estrema povertà nel periodo fascista. Se non ti aiutavi c’era la fame, la vera protagonista dell’epoca». Un senso di solidarietà che è arrivato il suo culmine nel momento della resistenza e che sopravvive ancora oggi: «Oggi c’è un passaggio di testimone» spiega il politico.
“Mio nonno è stato un deportato”
Sono rimasti in pochi i testimoni del rastrellamento. Sono soprattutto donne che hanno dovuto assistere inermi alla deportazione degli uomini della loro famiglia o del quartiere.
Ma c’è ancora chi porta nei ricordi e nel sangue l’eredità di questa storia. È il caso di Chiara Novelli. Suo nonno, Amedeo Guidi, è uno dei deportati del Quadraro che sono riusciti a fare ritorno.
«Avevo solo tre anni quando nonno è morto. Quello che so di lui, me l’ha raccontato principalmente mia madre. La storia del rastrellamento è sempre stata una parte della mia vita. Anche se mi rendo conto che è un evento storico che in molti non conoscono».
«Mio nonno è stato deportato in Germania quando aveva 51 anni ed è rimasto in un campo di lavoro in Germania per un anno. Quando è tornato pesava 40 chili, mi ha raccontato mia madre. Per lei rivederlo è stato uno shock. Nessuno pensava sarebbe tornato, perché per tutto il tempo in cui era lontano da casa non ha mandato lettere.»
La storia del nonno, oltre che tramite i racconti di famiglia, è anche sopravvissuta attraverso delle poesie che è riuscito a comporre di nascosto durante la prigionia. Chiara ne ha tratto un piccolo libro. Una poesia in particolare ricorda proprio il momento in cui i nazisti sono venuti a prenderlo a casa:
Dormivo sopra miseri giacigli in via dei Quintili, nel Quadraro
in compagnia di due giovani figli, dimentico del mio passato amaro.
Spuntava appena l’alba sì fatale, allor che mi destai di soprassalto
tesi l’orecchio e una boglia infernale potei concepir dal basso in alto.
Così pian piano schiusi le persiane per appurar il mio presentimento,
infatti le feroci belve umane facevano il crudel rastrellamento.
Una donnetta mesta e desolata ricurva sotto il peso degli anni
dell’unico figliol ne fu privata conforto dei suoi penosi affanni.
Non solamente sulle vie e nelle piazze rubavano gli uomini innocenti
ma dentro le case e dentro le terrazze senza ritegno e senza complimenti.
[…]
Ed ecco sulla soglia comparir due facce losche, simili a briganti muniti del mitra per ferire. E con gesti minacciosi e tracotanti ci venne un fogliettino presentato che a concepirlo ancor più non riesco, col quale il ratto fu deliberato per ordine del comando tedesco.
Entrambi ci guardammo trasognati, colpiti da mortal presentimento
e andammo nella fede rassegnati innanzi ai loro passi nel tormento.
«Noi nuove generazioni sentiamo ancora di più questo peso»
Sono tanti gli studenti liceali e universitari venuti da tutta Roma per partecipare all’evento.
«Siamo qui perché è fondamentale ricordare questo eccidio, un evento vergognoso. Peccato che non siamo tantissimi. Forse il senso della resistenza si sta un po’ perdendo», afferma Matteo Monosilio, studente universitario. «Ho iniziato a venire qui da quando avevo 13 anni, anche se non sono del quartiere» , racconta Marco Mazzoni, 19 anni. “Penso che partecipare a una manifestazione come questa sia umanità di base».
«Noi nuove generazioni sentiamo ancora di più questo peso, questo antifascismo che non viene riconosciuto. Quindi penso scaturisca un po’ in tutti quanti quel risentimento, quella voglia di cambiamento, di giustizia sociale», afferma M., 16 anni, del collettivo del liceo Augusto. «La rete degli studenti del VII Municipio ha il patrocinio della manifestazione insieme all’Anpi. Sicuramente è un gran testimone da mandare avanti. Mi sento onorata di stare qua», conclude.
«Sono anni che organizziamo questa manifestazione. Quest’anno abbiamo deciso di fare lo spezzone studentesco senza bandiere per far sì che il corteo venisse attraversato da più realtà e collettivi possibili, anche autonomi e autorganizzati”, afferma R., 14 anni.
«La memoria è un ingranaggio collettivo»
In tanti nel quartiere si impegnano a portare avanti i valori della resistenza, come l’Associazione Quadracoro, il coro amatoriale del quartiere. «Abbiamo nello statuto l’impegno a rendere viva la memoria del rastrellamento del Quadraro», racconta la presidente Maria Anna Tomassini.
La canzone che rappresenta il loro gruppo musicale è tratta dalla poesia di Aldo Poeta, ed è intitolata “17 aprile ’44” Unternehmen Walfish Operazione Balena”.
L’associazione ha anche lavorato alla pubblicazione del primo diario di un rastrellato. Si tratta di Iliano Caprari, che durante il periodo nel campo di lavoro, nonostante il freddo e la fame di notte si metteva a scrivere su dei foglietti. Sono stati pubblicati con il titolo “Linee resistenti” da l’Asino d’oro Edizioni.
«La memoria è un ingranaggio collettivo. Può bastare anche solo l’attività di una piccola associazione per portare avanti progetti di resistenza.»
«Le vespe volano ancora, e voleranno sempre»
Alla fine della giornata gli studenti si sono riuniti di fronte al monumento in memoria della deportazione del Quadraro, rappresentante un soldato obbbligato ad andare mentre le donne ne piangono l’abbandono. Qui gli studenti in fila dietro al lungo cartellone rosso con la scritta «Le vespe volano ancora: il quadraro non dimentica! Resistiamo» sono accanto ai più anziani volontari dell’ANPI. Qui, l’unione tra le due generazioni, consolida il passaggio di testimone e la volontà di portare avanti il ricordo.
Di fronte al monumento, le parole di Francesco Laddaga, presidente del VII municipio di Roma: «I testimoni sono sempre di meno e il nostro ruolo è ricordare la barbarie commessa dai nazisti. La vostra presenza oggi è un segnale che dice a questo territorio, a questa città, a questo paese, a questo governo che le vespe volano ancora e voleranno sempre.»
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