Esclusiva

Aprile 21 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 22 2025
Il Santo Padre dal carcere a Vance

I piedi lavati in carcere, le lezioni di misericordia verso i migranti e l’apertura alla comunità lgbt

Era l’estate del 2013 quando il telefono squillò in casa di Alejandra Pereyra. Dall’altro capo, una voce calda e familiare: «Sono il Papa». La donna argentina, vittima di stupro da parte di un poliziotto, aveva scritto al Vaticano senza aspettarsi risposta. Ma Francesco l’aveva chiamata. «Non sei sola, abbi fiducia nella giustizia», le disse. Era il primo anno di pontificato di Jorge Mario Bergoglio, scomparso il 21 aprile a 88 anni.

Eletto il 13 marzo 2013, primo Papa gesuita e primo sudamericano, aveva scelto l’essenzialità. Nessuna croce d’oro al collo, solo ferro. Niente mocassini rossi su misura, ma le sue scarpe nere, consumate. Prendeva il posto di Joseph Ratzinger, che aveva rinunciato al soglio pontificio 598 anni dopo l’abdicazione di Gregorio XII. Al balcone di San Pietro, dopo la fumata bianca, Bergoglio dedicò al predecessore il discorso ai fedeli: «Vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca».

Per il nuovo pontefice, la Chiesa doveva tornare alla missione originaria, stare con gli ultimi. Il primo viaggio fu a Lampedusa, dove lanciò un monito: «Abbiamo perso il senso di responsabilità fraterna. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri», disse Francesco riferendosi ai migranti annegati nel Mediterraneo. Chiese di abbandonare «la globalizzazione dell’indifferenza», per ricominciare a piangere chi era morto mentre cercava di fuggire «da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace». L’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama disse di lui: «Il Papa ci sfida. Ci implora di ricordarci dei poveri. Ci invita a fermarci e riflettere sulla dignità dell’uomo».

Papa Francesco a Piazza San Pietro il 27 agosto 2014
Papa Francesco, Piazza San Pietro, Città del Vaticano, 27 agosto 2014

Nel 2015 pubblicò l’enciclica Laudato si’, lanciando l’allarme sulla crisi ambientale causata dall’uso «irresponsabile e l’abuso dei beni che Dio ha posto» sulla Terra. E poi indisse il Giubileo straordinario della misericordia, celebrato nel 2016 in scala ridotta rispetto all’Anno Santo iniziato lo scorso 24 dicembre con l’apertura della Porta Santa a San Pietro. In quello stesso anno, portò con sé sull’aereo papale dodici rifugiati siriani sbarcati sull’isola di Lesbo. Si trattava di tre famiglie di fede musulmana, poi accolte dalla Comunità di Sant’Egidio.

Ma l’uomo della misericordia fu anche il Papa delle controversie. Non tutti gradirono l’apertura alle persone risposate e alla comunità Lgbt. «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?», disse nell’anno dell’insediamento, rispondendo a una domanda su una presunta lobby di sacerdoti omosessuali all’interno del Vaticano. La Chiesa si divise tra chi lo considerava un riformatore necessario e chi temeva andasse troppo oltre.

Anche le posizioni di Bergoglio sulla guerra in Ucraina furono criticate. Il Santo Padre chiedeva un tavolo di pace con il leader russo Vladimir Putin. A marzo 2024, parlando alla Radiotelevisione Svizzera, disse: «Il negoziato non è mai una resa». Fu un assist per la propaganda di Mosca. «L’Occidente ha sacrificato il popolo ucraino, lo Stato ucraino e la pace del mondo solo per le sue ambizioni», rilanciò Maria Zakharova, portavoce del ministro degli esteri russo, «ecco perché oggi il Papa chiede: “mettete da parte le vostre ambizioni e ammettete che vi siete sbagliati”».

Eppure Francesco ha lasciato un segno profondo nello Stato Vaticano. A gennaio ha nominato suor Simona Brambilla prefetta del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, la prima donna a guidare un dicastero. Un passo atteso da decenni.

Ma forse il testamento umano lo lasciò nel marzo 2024. Ormai in sedia a rotelle, si recò nel carcere femminile di Rebibbia per ripetere il gesto che aveva segnato il suo primo anno da Papa: la lavanda dei piedi. Dodici detenute di diverse nazionalità e religioni. «Gesù perdona tutto, vuole solo che noi chiediamo perdono», disse loro. Mentre il mondo lo piange, resta quell’immagine. Un uomo curvo, fragile nel corpo, ma saldo nello spirito, piegato davanti agli ultimi. Così era iniziato il suo pontificato. Così è finito.

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