L’odore è il primo a farsi notare, un misto acre e nobile di ferro arroventato e oro levigato, che si insinua tra i vicoli del Lungotevere prima ancora che si apra la porta a vetri. Dentro, la bottega Franchi, è una caverna silenziosa e viva dove la luce filtra dai vetri opachi e cade su decine di gioielli. Collane, vasi cesellati, teiere dai manici sottili e dalle curve antiche,ogni oggetto sembra avere una storia, e forse ce l’ha davvero.
Sul fondo, due uomini chini su un banco da lavoro. Le unghie consumate, le mani ferme, abituate a modellare il metallo come fosse cera. Claudio ha visto passare quattro generazioni dietro quel bancone. È da qui che è uscito l’anello di Papa Benedetto. Ed è da queste mani che ha preso forma l’icona che, anni fa, ha simbolicamente unito le Pasque cattolica e ortodossa in un unico sguardo.

«Sono stato contattato dal Vaticano nei giorni in cui veniva a mancare Giovanni Paolo II», racconta, seduto in mezzo ai suoi strumenti. «In quei giorni stavo curando una mostra a Palazzo Venezia sui tesori della steppa di Astrakhan. Monsignor Piero Marini e Monsignor Crispino Valenziano mi individuarono attraverso il catalogo. Credo colpì il fatto che fossi uno storico dell’arte, docente universitario e parte di una famiglia di argentieri da quattro generazioni».
Per Claudio, l’incarico non fu solo un onore, ma una sfida culturale. L’anello del pescatore, simbolo del potere papale, esiste dal 1295 e veniva tradizionalmente distrutto alla morte del pontefice per evitarne falsificazioni. «Storicamente era un sigillo. Di molti non conosciamo l’aspetto, perché venivano frantumati subito dopo la morte del Papa. Io ho voluto ridargli forma, costruendo un oggetto che avesse significato, racconto, rappresentazione».
Claudio iniziò così una lunga ricerca iconografica, consultando sigilli in ceralacca e studiando i rari indizi visivi del passato. «Monsignor Marini mi disse che l’anello doveva raffigurare Pietro nell’atto della pesca. Un’immagine semplice, ma piena di senso. Pietro è il pescatore di anime».

Dal banco di lavoro nacquero due proposte: una più contemporanea, quasi trasgressiva; l’altra più tradizionale. Entrambe portavano con sé un linguaggio simbolico ricco. Nel gambo dell’anello, Claudio inserì due pesci: «Il pesce è il simbolo originario della cultura cristiana. Doveva sostenere la narrazione di Pietro, essere il fondamento stesso dell’immagine». Intorno, una serie di baccellature evocava la rete e insieme il colonnato di Piazza San Pietro. All’interno dell’anello, traforata, la pianta del sagrato: «Ogni dettaglio parlava. È un oggetto piccolo, ma sta sulla mano che benedice. Doveva comunicare».

Quando venne il momento di incontrare Papa Benedetto per mostrare i prototipi, l’emozione fu tanta. «Era un incontro di tale intensità che ricordo ben poco», sorride Claudio. «Ma lui fu molto attento, colpito anche dai dettagli meno prevedibili. Come la misura del dito: era 24. Il doppio dei dodici apostoli. Lo trovò significativo».
Il lavoro sull’anello valse a Claudio anche un incarico più raro e imponente: la realizzazione dell’icona Cherupita, commissionata per la Pasqua del 2006, quando le celebrazioni cattolica e ortodossa coincisero nello stesso giorno. «Fu una commissione che appartiene non solo al pontefice, ma alla storia della Chiesa», dice Claudio, con un filo d’orgoglio. L’opera, alta tre metri per tre, oggi viene esposta sul sagrato di San Pietro per la messa pasquale. Al centro, Cristo risorto. Ai lati, otto versetti della prima lettera ai Corinzi. «La parte centrale fu realizzata da un iconografo georgiano, quindi di tradizione ortodossa. Il resto lo progettò la nostra squadra. Un gesto visibile di unità tra mondi spirituali».

A distanza di anni, la bottega di Claudio è ancora lì, ferma nel tempo e nel gesto. Gli si chiede se sarà lui a realizzare il prossimo anello del Papa. «No, non credo. Ogni pontefice sceglie un artista diverso. L’unico a servire otto papi è stato Bernini. Tra me e lui c’è una certa differenza», dice, con ironia.
Un po’ di amarezza, invece, emerge nel parlare dell’anello scelto da Papa Francesco. «È stato realizzato da Manfrini, uno scultore toscano, in origine per Paolo VI. Francesco lo ha scelto, apprezzandone la semplicità. È in argento, non in oro, ma ridurre la questione a una scelta di metallo è fuorviante. Il valore non è nei grammi, ma nella storia e nei simboli. L’argento non è più povero dell’oro, se racconta meglio».