Esclusiva

Maggio 13 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 15 2025
Dal Campo largo al Premierato, come difendersi dalla retorica

Dalla A di Antipolitica alla U di Ulivo, nel nuovo saggio Parole della politica di Gianfranco Pasquino un lessico per orientarsi

Non si tratta solo di un glossario, né di una sistemazione enciclopedica. Parole della politica di Gianfranco Pasquino, edito da il Mulino, è piuttosto un esercizio di chiarificazione e di critica: un tentativo «necessario, meritorio, civile», come spiega l’autore fin dalle prime righe, di restituire senso e rigore a termini troppo spesso maneggiati con «disinvoltura pari all’approssimazione» da politici, giornalisti, giuristi e commentatori improvvisati.

Non è la prima volta che il politologo bolognese – professore emerito e socio dell’Accademia dei Lincei – si cimenta in un’opera simile. C’è un precedente: La transizione a parole, uscito nei primi anni duemila. Ma se lì lo sguardo era rivolto all’Italia del post-Tangentopoli, qui Pasquino si confronta con uno scenario diverso, dove «la transizione cominciata nel biennio 1992-1994 è sostanzialmente terminata», senza però che si sia affermata una vera stabilità politica e istituzionale. I partiti continuano a mutare, spesso in forme caotiche; le riforme si inseguono, le crisi si sovrappongono. È in questo contesto che le parole diventano al tempo stesso strumenti e trappole.

Il nuovo saggio, un’edizione radicalmente aggiornata, mantiene la struttura simile a un dizionario: 15 le voci scritte ex novo, le atre sono riviste e arricchite. Dalla A di Antipolitica alla U di Ulivo, ciascuna affrontata con piglio scientifico ma anche con chiara passione civile. Pasquino non si nasconde: nelle sue definizioni ci sono umori e malumori, giudizi espliciti, opinioni motivate. Il tentativo dichiarato non è la neutralità, bensì quell’«imparzialità» che Max Weber attribuiva allo scienziato sociale, capace di riconoscere le proprie posizioni senza sacrificare la coerenza dell’analisi.

Alcune voci spiccano per densità e attualità. L’antipolitica, per esempio, è descritta come «un tratto permanente della scarsa cultura politica degli italiani», con manifestazioni carsiche che emergono ciclicamente. Il termine Campo largo, attribuito alla segreteria dem di Enrico Letta, invece è un esempio di come le parole si carichino di aspettative strategiche, salvo poi rivelarsi macigni da spingere in salita. Un’espressione che tradisce la scarsa chiarezza sulle strategie, sulle leadership e sui confini programmatici del Partito Democratico e dei suoi dirigenti, dopo ogni tornata elettorale «sempre obbligati a riprendere la salita, affannati e stanchi dal punto di partenza del negoziato con i potenziali alleati». E ancora, la definizione di cordone sanitario, richiamo alle scelte europee di isolamento dei partiti antisistema, come l’AfD in Germania, e ai pericoli di normalizzare chi minaccia la democrazia dall’interno.

Non mancano gli affondi sulle trasformazioni istituzionali. Il «Premierato alla Meloni» è descritto come una riforma ambigua che non garantisce né competenze né trasparenza, e che potrebbe anzi rafforzare il potere esecutivo a scapito del Parlamento e del ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Allo stesso tempo, la voce crisi delle democrazie rifiuta la narrazione catastrofista: nessuna democrazia è crollata dopo Lehman Brothers, dopo la pandemia o di fronte alla guerra in Ucraina. Semmai, dice Pasquino, hanno mostrato una certa resilienza, anche se affaticata e diseguale.

Spazio anche al concetto di egemonia culturale, che per l’autore non si riduce a un problema di posti di potere, ma riguarda «idee ed elaborazione culturale». Non l’occupazione di poltrone o di spazi mediatici, ma la capacità di produrre visioni del mondo, valori, interpretazioni condivise.

Le parole contano, ci dice Pasquino. E lo fa non solo da politologo, ma da testimone diretto di cinquant’anni di vita repubblicana: caporedattore, nel 1969, del Dizionario di politica diretto da Norberto Bobbio; autore di Modernizzazione e sviluppo politico (1970); studioso attento tanto ai sistemi comparati quanto al funzionamento concreto della democrazia italiana. Le parole non sono semplici etichette: sono strumenti per comprendere, ma anche per decidere, per schierarsi, per difendersi. Nel tempo della semplificazione sistematica e della velocità comunicativa, Parole della politica si propone come un breviario critico e civile. Un lessico per orientarsi, ma anche per smascherare retoriche vuote e narrazioni che deformano la realtà. Perché, come insegna l’autore, il linguaggio non è il vestito della politica, ne è ormai la sostanza.

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