Pensando all’Odissea, l’opera di Omero, vengono in mente Itaca, Circe e Calipso, Ulisse che resiste alle sirene, mare aperto e naufragi. Mai la prigione. Eppure, il viaggio per antonomasia per tornare a casa di Odisseo è anche il viaggio interiore dei detenuti. Nel 2018 l’artista milanese Tommaso Spazzini Villa ha voluto prendere estratti di quel testo e a partire dal carcere di Bollate ha coinvolto 361 prigionieri da tutta Italia, affidando ad ognuno una pagina diversa sui cui fare annotazioni, sottolineature, e commenti. Ne sono usciti 361 autoritratti e le parole di Omero, con le loro aggiunte, come un’opera collaborativa sono diventate le parole della reclusione, del loro stato d’animo, dello stigma e dell’estremo disagio che i detenuti vivono nelle nostre carceri. «La prima volta che ho letto i testi ho pianto parecchio e ho pensato che il progetto aveva passato di molto ciò che speravo e che a quel punto l’unica cosa da fare era portarlo in giro il più possibile» ha detto Spazzini Villa a Zeta.
Il 13 maggio 2025 il deputato di Azione, Fabrizio Benzoni, ha presentato l’opera “Autoritratti” alla Camera dei deputati, insieme alle associazioni: Nessuno tocchi Caino, Il Carcere possibile, Antigone e Amnesty international e al deputato di Italia Viva Roberto Giachetti. «Autoritratti è un caleidoscopio emotivo di chi è privato della libertà fisica e rimane aggrappato alla vita solo attraverso la forza del pensiero, del ricordo, della speranza» ha detto il deputato di Iv. È un’opera dentro l’opera «come se l’Odissea fosse il blocco di marmo che Michelangelo scolpiva creando il capolavoro, la statua, che però era già lì nella pietra» ha aggiunto Susanna Mariotti di “Antigone”. L’idea a Spazzini Villa è venuta quasi da sola: «Cercare le parole all’interno dei testi è un lavoro che già facevo io, poi ho conosciuto la direttrice del carcere di Bollate e ho chiesto di poterlo fare anche lì» ha continuato l’artista milanese. I detenuti non sono però solo quelli di Bollate, che si distingue in Italia come modello veramente improntato alla rieducazione e al reinserimento come previsto dalla Costituzione e la differenza tra loro si nota, dai secondi è emerso «più frustrazione e senso di privazione di dignità».
E come potrebbe essere altrimenti se gli episodi all’ordine del giorno sono come quelli che ha raccontato Susanna Mariotti: «l’altro giorno, in un istituto di cui non dirò il nome, tutti i prigionieri si sono affacciati alle loro celle per farmi vedere le loro forchette di plastica, alcune con due dentelli, alcune con uno solo. Quelle forchette gliele avevano dette un mese fa, erano ormai tre settimane che mangiavano con le mani». Secondo quanto ha riferito il deputato Benzoni a Zeta «oggi il carcere non fa null’altro dal giorno in cui si entra al giorno in cui si esce, non prepara l’uscita, non prepara una nuova vita, invece è la nostra Costituzione che dice che il carcere deve essere educativo, quindi serve lavoro in carcere, formazione, servono più psicologi, più progetti che permettono alle persone di crearsi una rete che quando esce sia d’aiuto».
La strada per la rieducazione non ha nulla a che fare con la riduzione allo stato quasi animale, con la bruttezza che i prigionieri hanno attorno ogni giorno, con la scarsità di servizi: «A Poggio Reale ci sono solo quattro educatori su duemila cento detenuti – ha detto Sergio Schlitzer, ex direttore de “Il carcere possibile” – come il mare è l’ostacolo ma anche l’unica via di ritorno per Ulisse, così la prigione lo è per i detenuti, ma il nostro sistema vuole fiaccare la speranza del ritorno». Si pensa sempre che in carcere ci sia tanto tempo per meditare, su se stessi, sulla pena e il delitto ma non è così «con il sovraffollamento che c’è nessuno ha la possibilità di pensare» ha ricordato Schlitzer.
La situazione del sistema carcerario
In Italia le strutture ospitano il 120% della loro capienza regolamentare con un sovraffollamento del 20% a livello nazionale, a dirlo è il rapporto del 18 aprile 2025 redatto dalla Corte dei Conti. Nell’analizzare lo stato di attuazione del “Piano Carceri” la Corte evidenzia i ritardi nella costruzione delle nuove strutture detentive che sarebbero invece utili a contrastare il sovraffollamento, ma non dimentica che il problema non è solo questo: «La realizzazione di nuovi posti non è l’unica strategia da perseguire per il complessivo miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti. Si intende sottolineare con necessità e urgenza che giungano a conclusione gli ulteriori interventi di manutenzione straordinaria già programmati per il miglioramento delle condizioni ambientali, igenico-sanitarie e trattamentali all’interno degli Istituti». Dai dati della Corte sono stati 83 i suicidi nel 204 e nel 2023 sono stati decisi ottomila ricorsi relativi alla condizione detentiva. Nelle note a piè di pagina della relazione si legge che «più della metà dei ricorsi promossi per violazione dell’art. 3 della Cedu sono stati accolti perché riconosciuti come inumani e degradanti, a causa della scarsa dignità della qualità della vita, i trattamenti cui sono stati sottoposti i soggetti detenuti in carcere in situazioni di grave sovraffollamento».