Esclusiva

Maggio 14 2025
José Mujica, il rivoluzionario gentile

È morto a 89 anni il simbolo di un modo diverso di fare politica, ancora oggi un’eccezione nel panorama latinoamericano

A Montevideo c’era un anziano signore che viveva in una casa di periferia, con due cani e un orto. Per andare in città prendeva il suo vecchio Maggiolino azzurro. Tutti lo chiamavano Pepe, ma era il presidente dell’Uruguay. Sulla carta lo è stato dal 2010 al 2015. Ma per gli uruguayani, Mujica è rimasto il loro presidente fino alla fine.

Ribattezzato dalla stampa “il capo di stato più povero del mondo”, è sempre rimasto umile e riservato. Dietro quella pacatezza di nascondeva una vita che sembrava un romanzo: negli anni Sessanta è stato un esponente di spicco del movimento di guerriglia urbana Tupamaros, un movimento ispirato alla rivoluzione cubana. È stato arrestato quattro volte ed è fuggito due. Catturato nel 1973, restò in carcere per quasi quattordici anni, molti dei quali in isolamento e in condizioni disumane. Ma non cercò mai vendetta, come disse in un’intervista a El País: «Io non volto pagina; non mi affanno a vendicarmi, che è diverso. Non si vive di ricordi e ci sono cose che non si possono cambiare, che sono come sono. Nella vita ci sono ferite che non guariscono, e bisogna imparare a continuare a vivere.»

Dopo la fine della dittatura Mujica uscì di prigione assieme agli altri militanti grazie a un’amnistia. La sua scalata politica andò in netto contrasto con gli anni della guerriglia: fu lenta, pacata, senza scorciatoie. Prima la nomina da deputato della Repubblica, poi quella da senatore. Nel 2005 venne nominato ministro dell’Agricoltura nel governo di Tabaré Vázquez. Nel 2009 si candidò alla presidenza con il Frente Amplio, una coalizione di sinistra, e vinse con il 52% dei voti. La Diaria, quotidiano uruguaiano, raccontò il giorno della vittoria sotto la pioggia battente: È il mondo al contrario» commenta un Mujica appena eletto. «In realtà sul palco dovreste esserci voi, e noi ad applaudirvi.» Fu il primo gesto di una presidenza che non avrebbe mai smesso di cercare unità, riconciliazione, misura.

Dietro quell’aura antieroica, il suo mandato ha promosso leggi che hanno fatto il giro del mondo: la regolamentazione della cannabis, la legalizzazione del matrimonio egualitario. Misure che vennero discusse, ma erano coerenti con l’idea di una libertà calata nella vita reale delle persone. La politica, per lui, era un servizio. «Lui diceva che il politico viene costantemente osservato dai cittadini, per questo deve restare uno di loro», ricorda Alfredo Luis Somoza, giornalista e presidente dell’Istituto Cooperazione Economica di Milano «perché se invece trae profitto personale, si arricchisce, cede alle tentazioni, fa anzitutto un danno alla Repubblica, all’idea stessa di democrazia. Pepe Mujica era un uomo di altri tempi, ma la sua vita e il suo pensiero sono stati incredibilmente moderni e attuali, soprattutto per quanto riguarda la critica al consumismo. Oggi la politica latino-americana lo rimpiange, ma per ora, ancora, non c’è nessuno che abbia imparato dal suo esempio.»

In un’epoca ipermediatizzata, in cui ogni gesto politico è costruito per essere condiviso, rilanciato, moltiplicato, Mujica non si metteva in scena. Fece notizia perché non voleva fare notizia. Fu intervistato dalle televisioni di mezzo mondo non per quello che prometteva ma per quello che non chiedeva. Il linguaggio semplice, le camicie spiegazzate, i suoi fiori: una forma di politica spoglia e disadorna che, proprio per questo, resta un caso isolato nel continente.