Esclusiva

Maggio 19 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 20 2025
«L’arianesimo non fu sconfitto», 1.700 anni dal Concilio di Nicea

Nel 325 d.C. l’imperatore Costantino lo ha convocato nell’attuale Turchia per dirimere alcune diatribe, tra qui l’eresia di Ario

Durante la prima messa del nuovo pontificato, Leone XIV ha recitato il Credo, una preghiera che ha una storia millenaria: per la precisione il 20 maggio compie mille e settecento anni. Il primo viaggio del nuovo papa potrebbe essere più importante di quello che si pensa. Dovrebbe recarsi in Turchia, e in particolare a Nicea, per l’anniversario dalla convocazione del primo Concilio ecumenico della storia dei cristianesimi.

L’imperatore Costantino l’ha indetto nel 325 d.C., nell’anno successivo alla sua vittoria contro l’Augusto d’Oriente Licinio, in un luogo neutro, una città dell’Asia minore che non era né era sede patriarcale né imperiale né sede di un importante episcopato perché non voleva intromettersi nella giurisdizione politica o ecclesiastica di qualcuno. L’obiettivo era quello di «ottenere il sostegno delle chiese cristiane e dei vescovi, che in quel periodo avevano assunto un ruolo importante, per poter operare un controllo politico ulteriore sulla vasta compagine imperiale», dice Antonio Musarra, professore di Storia medievale dell’Università La Sapienza di Roma.

Durante il Concilio ci furono non solo confronti dogmatici, ma anche politici e pastorali: si discusse se far coincidere la data della Pasqua cristiana con quella ebraica oppure sulle ordinazioni episcopali e sulle sedi patriarcali, ma anche e soprattutto per risolvere alcune controversie legate alla natura di Cristo e alle teorie di Ario, presbitero e teologo berbero. Però il Concilio «non chiuse la diatriba sulla consustanzialità del Padre e del Figlio – aggiunge Musarra – ma la aprì: a Nicea l’arianesimo non fu sconfitto».

Quella di Ario era una dottrina che aveva l’idea di preservare il monoteismo, un po’ come lo intendono l’Islam e l’ebraismo moderni, perché «non riteneva possibile che il Figlio fosse consustanziale al Padre e postulava la creazione, e dunque la subordinazione, di Cristo rispetto a Dio». Il credo niceno, invece, stabilito al termine del Concilio, affermava e sancisce tuttora che Gesù fu, come si legge nella preghiera, «generato non creato della stessa sostanza del Padre». Quest’anno ci sono stati diversi convegni che hanno dimostrato come la storiografia del passato non abbia sottolineato alcuni aspetti storici: la narrazione tradizionale leggeva il concilio niceno come un fondamento monolitico, «ovvero la vittoria dell’ortodossia sull’eresia, ma è una visione un po’ compassata. Non possiamo dire che il Concilio abbia sconfitto l’arianesimo, semmai polarizzò due visioni teologiche contrapposte», continua Musarra.

Il professore, infatti, ricorda che la dottrina di Ario fece proseliti anche dopo il 325 d.C.: non solo fu adottata da diverse tribù e popolazioni germaniche per lungo tempo fino al VI secolo, ma anche dagli stessi figli e successori di Costantino, come Costante e Costanzo II. Quest’ultimo esiliò anche alcuni patriarchi, tra cui quello di Alessandria d’Egitto Atanasio, che sostenevano il credo niceno. La differenziazione che faceva Ario tra padre e figlio era più comprensibile come linguaggio, infatti, per quelle popolazioni germaniche che avevano nel loro Pantheon un dio supremo e, sotto di lui, una serie di semidei dotati di poteri magici.

Dopo mille e settecento anni, il viaggio di Prevost potrebbe assumere un significato storico perché paleserebbe la volontà di sottolineare la continuità della Chiesa che si fonda sul deposito fidei, e «in secondo luogo verrebbe rilanciata l’idea di sinodalità portata avanti dal predecessore Papa Francesco, con l’idea dei concili ecumenici come luoghi di discussione tra vescovi, ma non solo. Certo – conclude il professore – sarebbe stravolgente se venisse convocato un Concilio Vaticano III nell’anniversario di quello di Nicea, ma la questione è la promozione del dibattito e del dialogo ecumenico».