Un catalogo di assenze che interroga il dolore. È Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia di Michele Ruol (TerraRossa 2024), uno dei dodici libri candidati per il Premio Strega 2025. Il romanzo di Ruol, che oltre a essere uno scrittore è anche un medico anestesista, esplora il lutto attraverso lo sguardo immobile degli oggetti. Fin dalle prime righe, con l’immagine potente della fotografia funebre sul tavolino, il lettore è immerso in un’atmosfera di perdita
L’opera è composta da novantanove brevi frammenti, ognuno intitolato a un oggetto presente nella casa di Padre e Madre, i genitori di Maggiore e Minore. La scelta di non dare un nome ai protagonisti del romanzo può sembrare apparentemente fredda e distaccata, ma si rivela una strategia efficace per affrontare un tema delicato come la perdita di due figli. L’autore evita la trappola del patetismo, non cede a facili consolazioni, ma si concentra sulla concretezza degli oggetti, elevati a testimoni silenziosi di una tragedia familiare.
Ruol utilizza questi elementi materiali come punti di accesso per indagare le dinamiche interne alla famiglia, prima e dopo la perdita. La decisione di non attribuire nomi propri anche ai genitori, ma di riferirsi a loro con appellativi generici, universalizza la loro sofferenza, rendendola emblematica di un dolore genitoriale assoluto.
La narrazione non segue una linearità temporale, ma oscilla tra momenti del passato e un presente segnato dall’assenza. Attraverso dettagli minuziosi, come la disposizione degli indumenti nel trolley o le abitudini consolidate della coppia, emerge un ritratto intimo di due individui che tentano di navigare il proprio dolore senza sopraffare l’altro, pur mantenendo un fragile legame.
Lo stile di Ruol è volutamente algido, quasi clinico, per riflettere la prospettiva di un inventario. Le frasi brevi creano un ritmo incalzante che, paradossalmente, enfatizza l’immobilità emotiva dei personaggi. Questa scelta stilistica azzera la causalità apparente degli eventi, presentando la vita come un elenco di “ciò che resta”.
Gli oggetti, carichi di memorie spesso dolorose, diventano il fulcro di una riflessione sul tempo, sul ricordo e sulla difficoltà di ricostruire un’esistenza dopo un evento traumatico. E la storia finisce così per interrogare il lettore sulla natura del ricordo e sul modo in cui gli oggetti possono cristallizzare un passato che non può più tornare.
Leggi anche: Di Pietrantonio vince il Premio Strega 2024