Ha lo sguardo accigliato di chi non teme il conflitto, il caschetto ordinato che incornicia un volto deciso, la postura ferma di chi ha imparato a resistere. Indossa un completo a quadretti, forse un filo di rossetto – difficile dirlo da una foto in bianco e nero – ma quel dettaglio leggero sembra raccontare uno dei pochi vezzi rimasti fino alla fine. È Miriam Mafai, ritratta sulla copertina di E non scappare mai, il nuovo romanzo di Annalisa Cuzzocrea, pubblicato da Rizzoli.
«Desiderava la bufera, come una poesia di Achmatova, come i biglietti d’amore in tribuna stampa a Montecitorio, come le lotte per i diritti delle donne fatte dentro e contro il partito, come un articolo dirompente o un reportage scandaloso. Come il Novecento che ha attraversato correndo, senza mai farsi travolgere dalla nostalgia» è il ritratto che ne restituisce l’editorialista e inviata di Repubblica. E proprio in quella “nave corsara” che era il giornale – come lo definiva il suo fondatore Eugenio Scalfari – che le vite di Annalisa e Miriam si sono incrociate. «Era il 2008, lei aveva già 82 anni e io ero all’inizio della carriera. Era spesso ospite da noi a Repubblica TV. Mi colpiva perché lei, pur essendo la più vecchia di tutte noi, aveva sempre lo sguardo più moderno, meno conservatore. Era una donna capace di guardare oltre. Lo è stata sempre, sia quando era nel Partito Comunista italiano, anche se il Pci era un monolite difficile da sopportare, sia dopo. Ha spronato sempre la sinistra a guardare avanti» confida l’autrice.
L’idea di raccontarla nasce da una scatola blu che la figlia Sara, con non poche iniziali reticenze, le affida e che, per il suo contenuto, ricorda molto la scatola nera di un aereo, custode di segreti, dolori e sentimenti, di frammenti privati di una vita pubblica. «C’erano tante lettere, taccuini e appunti, cose rimaste segrete e altre che aveva scritto pubblicamente sui giornali. Ho cercato di decifrare tutto per capire non tanto chi era, ma in che modo potessi raccontarla per far venir fuori meglio la sua essenza».
Il romanzo offre il ritratto di un’esistenza profonda e sfaccettata, attraversata da legami intensi: quello con la sorella Simona, quello complesso e conflittuale con Sara. «Questo libro restituisce l’ombra di mia madre, il suo lato tenero, malinconico, nervoso, le sue contraddizioni. È come se mi liberasse, perché è più facile e giusto essere figlia di una persona che ha anche l’ombra dentro di sé, una parte “più umana”, che va oltre il suo essere stata un’icona del femminismo, dell’impegno politico e della lotta sociale», afferma la figlia.
E non è una sensazione isolata. Annalisa ha davvero aiutato Sara a perdonare la madre: «Ho cercato di farle capire le ragioni del suo nervosismo, quando doveva fare mille cose insieme, perché era una donna sola in un giornale faticosissimo con due bambini da crescere, un divorzio in anni in cui non si divorziava. Le ho fatto capire meglio le sue ferite, quelle che ha tenuto sempre nascoste. “Lei esponeva la lotta e nascondeva il dolore”».
Perché non c’era altro modo di essere per le donne nate a inizio ‘900 se non andare avanti, se non esser fatte “con il fil di ferro” come diceva Ezio Mauro, a lungo direttore di Repubblica. La guerra, il cui peso vedeva riflesso negli occhi degli amici mentre cercava di nascondere il suo, conviveva con l’antifascismo, con il dolore per un primo matrimonio finito tragicamente, l’incontro con Umberto Scalia e la nascita dei figli, la storia con Gian Carlo Pajetta, “il partigiano Nullo”.
«Ma non erano i segreti a definirla», quanto il suo modo di amare, fatto di gesti fisici e concreti: i soldi messi nel portafoglio della sorella quando era in difficoltà economica, o un costume da bagno e un paio di ciabatte nuove per Nullo quando doveva partire per un viaggio.
«Quando sono arrivata a questa pagina del diario di Miriam ho pensato: la sto tradendo». Ma è ancora così? «Ho temuto di tradirla, ma poi, se ho capito bene come era Miriam, penso che in questo momento ci andremmo a bere un bicchiere di vino e rideremmo di questo tradimento» conclude scherzando Annalisa.
Perché Miriam, proprio come le aveva scritto Nullo sul retro di una cartolina nel 1969, non è mai scappata davvero, nonostante corresse sempre.