Nel gennaio del 2001, le testate giornalistiche italiane titolavano all’unisono sulla misteriosa scomparsa della contessa Francesca Vacca Agusta. Alle sette del mattino, in una di quelle fredde giornate invernali, la donna svaniva nel nulla tra gli alberi del giardino della sua Villa Altachiara a Portofino. Da quel momento, le indagini sulla sua sparizione ottennero un’attenzione mediatica senza precedenti, trasformando il caso della contessa nel primo grande fatto di cronaca nera degli anni Duemila. È proprio da questo episodio che nasce Portofino Blues di Valerio Aiolli edito da Voland, romanzo candidato al Premio Strega 2025.
Ma la realtà cambia in base ai punti di vista ed è così che un grande episodio della storia italiana si trasforma in un nodo narrativo in cui si incrociano esistenze diverse, luoghi lontani e memorie collettive, come piccole tessere di un mosaico più grande. «È una storia che ha fatto un’epoca perché lì per lì ebbe un interesse mediatico enorme. Le televisioni ne parlavano continuamente e anche i giornali. Quindi era un episodio che si era fissato nella memoria della popolazione», spiega l’autore.
I personaggi di Aiolli — Maurizio, Tirsi, Susanna e Francesca — non sono semplici figure narrative, ma punti di intersezione con altri mondi che si incrociano tutti tra le pagine del libro: «Ciò che mi ha spinto a occuparmene è stata la sua capacità, attraverso le vicende di tutte le persone che sono coinvolte nella storia, di raccontare un pezzo della storia italiana, ma anche internazionale in maniera molto viva. E quindi attraverso la storia della famiglia Agusta ho avuto la possibilità di raccontare il periodo del miracolo economico, con quella di Maurizio il periodo di Tangentopoli, attraverso la storia di Tirsi ho potuto parlare del Messico dei ricchi e, con Francesca, il jet set italiano degli anni ’70, ’80 e ’90».
Non è solo una ricostruzione storica e documentaria, lo spirito più libero e letterario riemerge nei dialoghi dei protagonisti, nella descrizione dei loro vizi e difetti, nel loro essere umani: «È un po’ il lavoro dello scrittore quello di andare tra le pieghe della realtà, che sia una realtà effettivamente avvenuta o una realtà magari privata.- dice Aiolli – Spesso i romanzieri scrivono di cose personali o addirittura immaginate, in tutti i casi con l’immedesimazione, con analisi e con la potenza immaginativa di mettersi nei panni di ognuno dei personaggi per cercare di far emergere il loro lato umano, che è anche quello più interessante».
L’autore crea una continua tensione tra la verità dei fatti e una finzione funzionale che dà profondità psicologica agli attori principali del caso di cronaca. Ma la narrazione non perde mai di vista la realtà, l’autore si sente parte di entrambe ed è coinvolto nel racconto intervenendo in prima persona: «Già nel primo capitolo c’è un narratore che racconta un pezzo di una storia che apparentemente poi non ha molta attinenza il resto, è come se racchiudesse in sé un po’ di elementi che hanno a che fare con tutta con tutta la vicenda che seguirà», dice lo scrittore. Un gioco di connessioni che non risparmia nessuno, tantomeno il suo creatore. Il romanzo genera una rete intricata che illumina una grande storia comune, regala un racconto lineare e complesso di un’esperienza polifonica attraverso la molteplicità delle sue voci, riordinate con sensibilità e visione letteraria dalle mani di Valerio Aiolli.
Leggi anche: «Incompletezza», il romanzo di Debora Gambetta