Esclusiva

Giugno 13 2025
Con gli occhi di chi vive l’albinismo

Dall’Italia all’Africa, la testimonianza di Marianna e il lavoro di Albinit per superare stereotipi, barriere architettoniche e superstizioni

In Italia una persona su 17.000 nasce con l’albinismo, ma la statistica non racconta tutto: non dice della fatica di leggere un cartello alla fermata dell’autobus, dell’impossibilità di abbronzarsi senza rischi, delle discriminazioni sociali, delle barriere visive che ostacolano anche le azioni più semplici. Non è solo “avere la pelle bianca”, ma è una malattia genetica rara ed ereditaria, caratterizzata dalla carenza di melanina, il pigmento che colora la cute, i capelli e gli occhi. Eppure, nell’immaginario collettivo, resta spesso confinata all’aspetto fisico.

A cambiare la narrazione ci provano associazioni no profit come Albinit, che dal 2008 promuove consapevolezza, supporto e inclusione per le persone con albinismo e le loro famiglie. Tra le voci che animano oggi il direttivo c’è quella di Marianna, 30 anni, architetta, attivista e curatrice di contenuti social. «Conosco Albinit dal 2012, l’ho scoperta per caso cercando informazioni su internet», racconta. «All’epoca sentivo il bisogno di confrontarmi con qualcuno che stesse vivendo la mia stessa esperienza. Ho una sorella più grande, anche lei albina, ed è stato prezioso crescere insieme e parlarne con lei. Ma desideravo incontrare anche qualcuno fuori dalla mia famiglia ed entrare in contatto con la comunità dell’associazione è stato diverso. È come aver trovato altri fratelli, con cui ho avuto una connessione inaspettata, ma fortissima».    

Con gli occhi di chi vive l’albinismo
Marianna Pezzella

Col tempo, Marianna ha imparato a raccontarsi con chiarezza e forza, maturata passo dopo passo: «Sono cresciuta in un contesto di periferia, nella provincia di Napoli, dove la mentalità non era molto aperta. Quando andavo al liceo mi è capitato che mi prendessero in giro per il mio aspetto, sul fatto che avessi i capelli bianchi e che non potessi abbronzarmi, ma quello che mi colpiva di più erano le battute sgradevoli sui problemi legati alla vista. Le persone albine, infatti, hanno problemi di ipovisione e fotofobia».

Gli ostacoli quotidiani non nascono solo da una mancanza di empatia, ma soprattutto da una scarsa conoscenza della condizione. «C’è ancora un po’ di resistenza. La vera barriera oggi è sociale e riguarda tutto ciò che impedisce a una persona con disabilità sensoriale di muoversi e vivere normalmente» spiega lei.

Per affrontare queste problematiche, Albinit organizza eventi e conferenze che invitano a guardare oltre gli stereotipi, raccontando storie esemplari come quella dello psichiatra Ettore Guaia, oggi direttore medico di salute mentale giovanile in Australia. Durante la sua infanzia ad Agrigento, ogni anno doveva attraversare l’Italia con la sua famiglia solo per poter ottenere un paio di occhiali su misura a Milano, allora unico posto dove trovare un ottico specializzato.

Ma in alcune aree del mondo la realtà è ben più dura. Dal 2014, le Nazioni Unite hanno istituito il 13 giugno la Giornata Internazionale dell’Albinismo, per accendere i riflettori su una situazione drammatica che riguarda soprattutto l’Africa. In alcuni Paesi subsahariani, l’incidenza della malattia è altissima: in Tanzania si registra un caso ogni 1.400 individui, in alcune zone del Malawi e dello Zimbabwe addirittura uno su 1.000.

Qui l’albinismo non è solo stigma, ma pericolo concreto. A causa di credenze superstiziose, chi ne è affetto è bersaglio di violenze, persecuzioni e, in casi più estremi, omicidi: si ritiene che abbiano poteri magici o che i loro organi portino fortuna. Una pratica atroce, denunciata da organizzazioni come Amnesty International, che ancora oggi resiste in alcune regioni.

Anche in questi contesti, Albinit cerca di intervenire con progetti di cooperazione. Tra i più importanti “Uno sguardo oltre il colore” offre assistenza sanitaria alle comunità in Senegal. Qui, un abitante su 2.000 è albino, e l’aspettativa di vita non supera i 40 anni, soprattutto a causa dei tumori della pelle non trattati.