Era la primavera del 1944. Su Montecassino, però, pochi fiori sbocciavano, piegati dalla devastazione della guerra. Gli unici a resistere sulle pendici del monte erano i papaveri, ma a bagnarli non era più la rugiada del mattino, bensì il sangue caldo dei soldati.

«Per la nostra e la vostra libertà noi soldati polacchi demmo l’anima a Dio, i corpi alla terra d’Italia, alla Polonia i cuori» è la frase incisa sull’obelisco del cimitero militare polacco di Montecassino. Una distesa di 1.051 lapidi marmoree ricorda i militari deceduti nella battaglia di Montecassino, una delle più cruente e decisive della Seconda guerra mondiale. Non fu un’unica offensiva, ma una serie di assalti militari degli Alleati contro l’esercito tedesco. Da gennaio a maggio 1944, infatti, ci furono quattro combattimenti nella Città Martire, che aprirono alle forze alleate la strada verso Roma. L’ultimo, quello decisivo, conosciuto come “Operazione Diadem”, iniziò l’11 maggio. «Oggi è giunta per noi l’ora della sanguinosa rappresaglia. È l’ora che aspettavamo da tempo, attesa dal nostro martoriato Paese e dai polacchi sparsi in tutto il mondo. Quindi, soldati, all’azione! – E fuoco nella testa o nel cuore!», disse il generale polacco Władysław Anders per incoraggiare il Secondo Corpo d’Armata prima dell’assalto simultaneo contro i nazisti che occupavano le rovine del monastero. Tra la notte del 17 e 18 maggio il reparto si batté con valore, ma non senza spargimenti di sangue: 923 morti, 2.931 feriti e 345 dichiarati dispersi. «Fu una dura settimana in cui i polacchi del Secondo Corpo d’Armata furono quasi completamente uccisi nei combattimenti corpo a corpo con i soldati tedeschi», racconta Maurizio Nowak, presidente dell’Associazione famiglie combattenti polacchi in Italia.
Un dolore che brucia nella memoria collettiva di un popolo che, ogni 18 maggio, ricorda i propri caduti in una messa commemorativa. «Portiamo avanti questa tradizione perché è ancora una battaglia molto sentita in Polonia. Per motivi anagrafici, siamo rimasti solo noi a tramandare queste memorie. Non potremmo mai dimenticarlo». L’Associazione, per lo più formata dalle mogli e dai figli degli ex combattenti, custodisce e porta avanti la memoria storica di una generazione. Edward Nowak, padre di Maurizio, combatté nella fanteria del Secondo Corpo d’Armata dopo essere sopravvissuto ai gulag sovietici: «Io ho un fratello e una sorella, ma nostro padre non parlava mai di guerra, a nessuno di noi figli. Sono riuscito a estorcergli alcuni ricordi solo negli ultimi anni della sua vita, quando era ormai malato. Nemmeno in quel momento, però, riferì episodi cruenti o violenti. Era una cosa talmente dura e forte che non intendeva trasmetterla».
Eppure, tra i suoni sordi dell’artiglieria pesante, si levava anche qualche nota di speranza. Nella notte tra il 17 e il 18 maggio, il cantante di operette e compositore Feliks Konarski, noto con lo pseudonimo di Ref-Ren, scrisse durante quella notte di guerra una canzone che sarebbe diventata il simbolo di quel sacrificio: Czerwone maki na Monte Cassino (Papaveri rossi su Montecassino). La melodia fu composta dal compagno Alfred Schütz. Quei versi divennero poi i più famosi della musica polacca. «La prima volta che abbiamo cantato i Papaveri rossi su Montecassino, abbiamo pianto tutti. I soldati hanno pianto con noi. I papaveri rossi, che sbocciavano nella notte, divennero un altro simbolo di coraggio e sacrificio, un tributo ai vivi che per amore della libertà morirono per la libertà delle persone», scrisse Konarski nelle sue memorie. La terza strofa fu aggiunta poche ore più tardi, mentre la quarta arrivò nel 1969, per il 25° anniversario della battaglia. Ma è giusto definirla una canzone della resistenza? «Il suo significato – continua Nowak – esprime molto bene lo spirito di tutti coloro che hanno lottato per la liberazione. Forse se non avessero avuto la spinta di quella canzone non sono sicuro che avrebbero avuto la forza e il coraggio necessari per andare a combattere e a stanare i paracadutisti tedeschi nelle buche».
Dopo la nascita del brano, come un presagio, i polacchi riuscirono a liberare l’abbazia. Mentre la bandiera biancorossa sventolava sulle rovine e il suono di una tromba annunciava la vittoria, le note di Papaveri rossi su Montecassino risuonavano nel quartier generale di Anders. E così, tra fumo e macerie, parole e musica si fusero insieme, per rendere immortale il coraggio di chi, su quella montagna, scelse di morire per la libertà degli altri.