Anita ha diciassette anni, i capelli castani che le incorniciano il viso, mentre pensa al futuro il suo sguardo, nascosto dagli occhiali, mostra tanta determinazione adombrata da un velo di disillusione. Immaginare la sua vita tra dieci anni non è semplice, come non lo è prevedere cosa accadrà e quanto il suo cammino la porterà lontana da casa. Abita nella periferia di Napoli e frequenta il quarto anno di liceo: «Durante le giornate non c’è molto da fare: vado a scuola, torno, mangio. Poi il pomeriggio studio oppure, se esco, è solo per seguire delle lezioni private o per andare dalla psicologa». Il paese in cui vive è piccolo e non ci sono molte attività per i giovani – racconta – l’unico cinema rimasto è stato chiuso tre anni fa. «Quando vedo i miei amici di solito andiamo nella zona del Granatello a Portici che è una città un pochino più grande. Ma proprio lì poco tempo fa c’è stato un episodio di violenza molto preoccupante». Il caso a cui Anita fa riferimento risale alla sera dell’8 giugno, quando un ragazzo di sedici anni, per un saluto a una sua compagna, è stato aggredito da un gruppo di coetanei e ha riportato lesioni e fratture facciali. Questa è solo l’ultima di tante notizie di cronaca nera che coinvolgono minori. Solo quattro giorni prima i funerali di Martina Carbonaro facevano spegnere i riflettori sul femminicidio della quattordicenne, aggredita e uccisa dall’ex-fidanzato appena maggiorenne. Il mese precedente sulle pagine dei giornali erano riportate le notizie di due aggressioni armate tra minori al centro di Napoli a distanza di sole ventiquattr’ore.
Nel 2024 gli omicidi commessi da minorenni in Italia sono più che raddoppiati. Dal 4% del totale nel 2023 all’11,8%, con 35 casi su 319, rispetto ai 14 su 340 dell’anno precedente. Un aumento del 150%, in un contesto in cui gli omicidi totali calano. Crescono, invece, le vittime minorenni dal 4% al 7%. Lo studio è stato portato avanti dalla Criminalpol e discusso al Congresso della Società Italiana di Psichiatria e Psicopatologia Forense lo scorso maggio. I dati riportati dal Ministero degli Interni avevano già mostrato questo andamento negli anni precedenti. Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2022, l’Italia ha registrato un incremento del 15% nelle segnalazioni di minori, di età compresa tra i 14 e i 17 anni, denunciati o arrestati per reati su tutto il territorio nazionale. L’aumento, che fotografa un’evoluzione preoccupante del disagio giovanile, riflette non solo un cambiamento nei comportamenti dei ragazzi, ma anche una crescente avversione alle regole sociali. I reati più frequenti sono legati alla devianza adolescenziale, come furti, danneggiamenti, risse e atti di violenza. Espressione di tensioni profonde e sempre più manifeste. «Mi sento un po’ distaccata dai miei coetanei o anche dalle persone più piccole – dice Anita – direi che non condivido i loro interessi oppure i loro modi di fare. È troppo normalizzato usare certi termini come insulti. Se un bambino di undici anni usa un certo linguaggio come fosse niente, vuol dire che il problema nasce anche dalla famiglia. Passeggiare per strada ed essere insultata, vedere i propri amici discriminati per il loro orientamento sessuale è la base su cui si fonda la violenza di cui sentiamo parlare ogni giorno in tv».
I comportamenti che descrive Anita rientrano nelle dinamiche tipiche della devianza giovanile, spesso connesse alla criminalità minorile. Atteggiamenti che nascono da un bisogno profondo di auto-affermazione e si esprimono con gesti distruttivi o attraverso un forte desiderio di controllo e possesso, quasi a compensare un vuoto identitario e sociale. Umberto Setola, Direttore Generale ad interim dell’Azienda Consortile dei Servizi Sociali, analizza la situazione dall’interno e individua gli stessi problemi riconosciuti da Anita: «Le informazioni che prima gli adolescenti riuscivano ad acquisire attraverso la famiglia, oggi, sono delegate all’uso dei cellulari, di Facebook, Instagram e degli altri social media. C’è un problema proprio di capacità genitoriale». Demonizzare internet può sembrare semplice e assolutorio, in realtà manifesta una mancanza di cura crescente nei confronti dei ragazzi e della loro crescita: «È un problema generalizzato che non riguarda soltanto le periferie del sud dell’Italia, ma un’intera generazione. A casa non si parla più. Non si parla di educazione sessuale, non si parla di valori, non si parla delle difficoltà che i ragazzi si trovano ad affrontare e non si elaborano i problemi. La famiglia è distratta dal lavoro, – continua Setola – dalle faccende personali di tutti i giorni e sfugge sempre qualcosa. In questo caso stanno sfuggendo i figli, stiamo perdendo di vista la cura dei nostri figli. Oggi i servizi sociali per essere efficaci non aiutano più il singolo minore in difficoltà, ma l’intero nucleo familiare».
L’aumento dei casi di criminalità minorile non è soltanto un dato statistico, ma il sintomo di una società che fatica a costruire una rete di dialogo e attenzione. Non si tratta di colpe da attribuire, ma di sfide da affrontare con responsabilità collettiva: «Manca fare rete, c’è bisogno di fare un patto educativo. Questo è il problema fondamentale, bisogna aiutare insieme. Non c’è percezione dei servizi attivi sul territorio – spiega Setola – delle potenzialità che noi abbiamo e spesso la dispersione scolastica parte proprio da questo e compromette la crescita e la formazione dei ragazzi», ma non solo. Anche per chi la scuola riesce a frequentarla, restare nell’ambiente in cui si cresciuti è una scelta insofferente: «Come vedo il mio futuro? In realtà non ne ho un’idea precisa. Non è che mi senta molto speranzosa in generale – dice Anita – soprattutto qui in Italia. Durante l’ultimo referendum solo il 30% degli italiani è andato a votare, già questo dice molto. Se devo immaginarmi tra qualche anno, penso che sarò andata via dal mio paese per iscrivermi all’università in una grande città. Se dovessi pensare al mio lavoro mi sentirei meglio in un altro stato. Adesso pensare di dover prendere questa decisione mi crea ansia, ma continuare a vivere in questo contesto non mi renderebbe felice».
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