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Esclusiva

Maggio 20 2020
Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

Le restrizioni legate al Covid-19 hanno avuto effetti sulla dimensione emotiva e psicologica degli italiani. Cos’è cambiato durante la quarantena e con il passaggio alla fase 2

L’emergenza coronavirus ha portato con sé l’obbligo di restare a casa, ridurre gli spostamenti al minimo e azzerare la nostra vita sociale. Inoltre, la temporanea sospensione da attività scolastiche e lavorative ha condotto a un rallentamento dei ritmi di vita per molti italiani. Il Covid-19 e le restrizioni che ne sono derivate hanno avuto un forte impatto sulla nostra dimensione emotiva e psicologica; una serie di conseguenze in parte intuibili e in parte più difficili da misurare. Che effetti hanno avuto su vere e proprie patologie come la depressione? E cosa sta accadendo ora che l’Italia è entrata nella fase 2? Questo lavoro cerca di rispondere a tali domande seguendo le tracce lasciate dagli utenti su motori di ricerca e social network.

Il tema e il metodo

L’oggetto di questa inchiesta non è però facile da mettere a fuoco. La depressione è un fenomeno composito che sfugge a definizioni troppo semplicistiche. Il sostantivo depressione e l’aggettivo depresso vengono usati facendo riferimento a fenomeni diversi: c’è la depressione in senso stretto, intesa come vera e propria patologia psichiatrica, riconosciuta come tale dal punto di vista medico e trattata con appositi farmaci, e c’è la depressione in senso lato, uno stato di malessere passeggero per cui a volte, scherzosamente o con leggerezza, ci definiamo «un po’ depressi». Fin dalla sua genesi, questo lavoro muove dalla consapevolezza di tale distinzione, che ha accompagnato la lettura e l’interpretazione dei risultati via via emersi.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

La nostra indagine, che si limita al caso italiano, copre l’intero periodo caratterizzato dall’emergenza coronavirus, dalla fine di febbraio all’inizio di maggio: una fase piuttosto lunga segnata da una certa continuità nelle restrizioni, ma in cui si sono succeduti stati d’animo diversi e condizioni soggettive che sono mutate nel tempo. L’analisi si è mossa su un doppio binario. Tramite Google Trends si sono indagate le ricerche su Google, principale motore di ricerca, del termine depressione e di parole ad essa collegate. Parallelamente si è studiato il comportamento degli utenti di Twitter, i cui messaggi sono stati raccolti con Twitter Archiver. I tweet sono poi stati analizzati ricorrendo a WordClouds per individuare le associazioni di parole. Solo alla fine si è interrogato un esperto del settore: i risultati emersi sono stati proposti a uno psichiatra, che ha confermato alcune delle nostre impressioni e smentito altre.

Intuitivamente pare scontato associare il periodo di quarantena a un diffuso aumento della depressione, o comunque di condizioni di difficoltà psicologica. Il legame tra una simile modifica degli stili di vita ed episodi depressivi è confermato da psicologi e psichiatri, secondo cui una situazione di forte stress può portare a insonnia, ansia e depressione. Secondo la Società Italiana di Psichiatria, saranno oltre 300 mila i pazienti che svilupperanno disturbi psichici a causa del Covid-19.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

Ma l’analisi da noi condotta mostra risultati sorprendenti: l’inizio della fase di quarantena (tra febbraio e marzo) presenta indicatori che suggeriscono un calo delle situazioni di disagio psichico, che poi torna a crescere con il passare delle settimane (nel mese di aprile), fino al picco che si registra a inizio maggio (con l’avvio della fase 2). Sono dati inattesi che spingono a inquadrare gli ultimi due mesi non come un tutt’uno ma come un periodo complesso attraversato da varie dinamiche. Questo lavoro cerca di contestualizzare il malessere recente di molti italiani e di darne una delle possibili interpretazioni.

Le ricerche su Google

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

Il dato che balza all’occhio è un picco al ribasso delle ricerche su Google della parola depressione in coincidenza con l’inizio della diffusione del virus in Italia. Una prima discesa avviene nell’ultima settimana di febbraio, quando viene istituita la prima zona rossa attorno a Codogno, e prosegue per tutto marzo, durante il primo mese di quarantena. È interessante notare che in precedenza, per tutto il 2019, l’andamento delle ricerche si era mantenuto su livelli più o meno costanti, mentre con l’avvento del Covid-19 c’è stata un’inversione di tendenza (in negativo) che appare anomala. Persino ora che le ricerche sono in rialzo sembra non si sia tornati su livelli di normalità.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

Il grafico mostra due andamenti piuttosto simili. La parola suicidio, che ha un significato più estremo ed è mano cercata, presenta sbalzi più accentuati. Il crollo delle ricerche all’inizio della diffusione del virus e per tutta la prima fase della quarantena è comunque coincidente con quello del termine depressione. L’unica eccezione risale ai giorni tra il 29 marzo e il 4 aprile. Va ricordato che il 1° aprile il premier Conte ha prorogato il lockdown.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2
Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

La stessa tendenza si riscontra con il termine antidepressivo, che ha visto diminuire il volume delle ricerche negli ultimi due mesi.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

La parola psicofarmaco ha subìto la stessa flessione negativa nei mesi del lockdown.

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Stessa flessione negativa nei mesi del lockdown ha subìto la ricerca dell’espressione disturbo d’ansia.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2
Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

Il 3 maggio, giorno prima dell’inizio della fase 2, si registra un picco delle ricerche del termine depressione su Google.

L’analisi dei tweet

Dall’analisi dei tweet contenti le parole coronavirus e depressione, in pieno lockdown, dal 20 al 28 aprile, è emersa la correlazione tra l’utilizzo di questi termini e gli stati d’animo che le conseguenze della pandemia e della quarantena stavano generando negli italiani: crescita dello stress per l’essere bloccati a casa, preoccupazione per la perdita del lavoro, ansia per l’aumento dei contagi e per la situazione dell’economia italiana, paura per l’incolumità delle persone anziane, attenzione alle misure adottate dal governo Conte.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2
Analisi dei tweet contenenti le parole coronavirus e depressione dal 20 al 28 aprile

Dal confronto, invece, tra i tweet degli utenti contenenti la parola depressione proprio prima dell’inizio della fase 2 (2-3 maggio) e quelli analizzati una settimana dopo (10-11 maggio) è emerso che nel primo periodo l’utilizzo della parola depressione è maggiormente legato a tematiche di lockdown (casa, quarantena, mangiare), mentre nel secondo periodo viene associato alle sue conseguenze (fase 2, economia, disoccupazione, soldi) e a temi di ordine generale (Instagram, interista, pallone). Rimane invece costante la correlazione con altri temini come ansia e psicologico). Interessante l’exploit della parola giornata tra il 10 e l’11 maggio, probabilmente legato alla depressione che deriva dall’aver trascorso giornate poco soddisfacenti.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2
Confronto tra i tweet contenenti la parola depressione dei periodi 2-4 maggio e 10-11 maggio

Dall’analisi di oltre 3.000 tweet postati con l’hashtag #quarantena è emerso che nessun tweet contiene le parole depressione, ansia o suicidio.

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Analisi dei tweet contenenti #quarantena tra il 30 aprile e il 4 maggio

Il parere dell’esperto

A conclusione di questa indagine, ci è parso utile sottoporre i dati raccolti all’analisi di un professionista del settore, il dottor Maurizio Dodet, psichiatra e psicoterapeuta presso il Laboratorio di Psicologia Cognitiva Postrazionalista di Roma. A nostro giudizio, il parere di un esperto in materia avrebbe costituito quella che il data scientist americano Seth Stephens-Davidowitz definisce «empirica a spettro ridotto»: uno strumento capace di rendere i dati raccolti attuali e concreti e di fornire una spiegazione basata sull’esperienza professionale. Ecco quanto è emerso.

1. Il termine depressione inserito nel motore di ricerca di Google e menzionato nei vari social network è comprensivo delle più diverse patologie e di svariati sentimenti correlati a una flessione dell’umore: non va inteso solo nell’accezione clinica del termine.

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2. La premessa fondamentale riguardo alle cause scatenanti un generico stato depressivo, o una flessione dell’umore, è che queste sono generate soprattuto da condizioni di incertezza, impotenza e vulnerabilità. A loro volta tali condizioni sono spesso il risultato del susseguirsi di cambiamenti più o meno importanti nella nostra vita, che possono rappresentare dei veri e propri traumi, a seconda della capacità dell’individuo di gestirli. L’avvento del Covid-19 e l’istituzione della quarantena hanno portato drastici mutamenti nelle abitudini quotidiane di ciascuno di noi: ciò, in aggiunta al fatto che ci troviamo di fronte a una minaccia perlopiù sconosciuta e a una comunicazione medico-istituzionale spesso poco chiara (se non addirittura contraddittoria) suggerirebbe un aumento di quel senso di incertezza e vulnerabilità tipico di una condizione depressiva.

3. L’iniziale stupore verso dati che, almeno in apparenza, contraddicono l’esperienza professionale è mitigato da altri fattori noti alla comunità scientifica: sono in realtà piuttosto frequenti le circostanze in cui, durante momenti di crisi sociale, gli individui si sentono parte di una lotta collettiva e spostano la loro attenzione dalle problematiche soggettive alle difficoltà comuni. Durante le guerre, nota il dottor Dodet, il numero di suicidi e di ricoveri per crisi depressive cala in modo netto.

Coronavirus e depressione, aspettative e realtà tra fase 1 e fase 2

4. Occorre operare una distinzione in base alle tipologie di soggetti interessati: l’emergenza Covid ha coinvolto ogni genere di categoria sociale e le reazioni sono state diverse. In base all’esperienza dell’esperto, sembra che i soggetti fobici e ipocondriaci abbiano risposto meglio alle limitazioni anti-contagio imposte dalla quarantena: «In questa situazione i normali sono loro e questo è un cambiamento che hanno percepito. Nei loro confronti si sono registrati quelli che in ambito medico vengono definiti miglioramenti drammatici». Diverso il discorso per le persone ormai prossime al pensionamento, che hanno visto materializzarsi in anticipo un assaggio della loro condizione futura, e ancora diversa la situazione di chi con la malattia si è confrontato: si parla di medici, infermieri e soprattutto dei pazienti contagiati.

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5. Il picco del 3 maggio e la sindrome capanna. Il picco di ricerche del termine depressione su Google registrato alla vigilia dell’inizio della fase 2 desta una certa sorpresa nel dottor Dodet. Eppure il dato trova più di una spiegazione: secondo l’esperto «abbiamo vissuto un’esperienza di costrizione, ma quelle che abbiamo trovato chiudendoci nel nostro guscio e nella nostra intimità sono state sensazioni nuove, che dopo un iniziale disagio abbiamo imparato ad apprezzare. Per molti soggetti è stato positivo ritrovarsi in una condizione meno produttiva e più rilassante, e in questo senso nn va sottovalutata la grande capacità di adattamento dell’essere umano. Quella che in gergo medico viene definita sindrome da tana consiste proprio nell’abituarsi a una routine fatta di sicurezza e protezione da un mondo esterno minaccioso e scomodo».

«La riapertura ha perciò costituito un ulteriore trauma. Anche qui occorre distinguere tra chi ha spostato le sue principali occupazioni all’interno delle mura domestiche e chi ha continuato a operare in una dimensione sociale o nelle consuete strutture lavorative: per i primi (la maggioranza), la prospettiva di riapertura è più difficile da digerire perché rappresenta una nuova inversione di tendenza; i secondi sono invece già lanciati verso una normalità che non hanno mai abbandonato del tutto. La vostra ricerca puntiforme – ha aggiunto Dodet – è interessante perché permette di fotografare un momento, ma è chiaro che per quanto riguarda la ripresa di una normalità bisognerà studiare le reazioni nel lungo periodo».