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Esclusiva

Dicembre 10 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 7 2021
“Trump non è come Hitler, oggi le cose funzionano in modo diverso”

Colloquio con Ruth Ben-Ghiat, autrice di Strongmen, in cui ripercorre l’evoluzione dell’autoritarismo attraverso gli “uomini forti” protagonisti di un secolo, tra identità e differenze

«Quello che gli Stati Uniti stanno vivendo è un momento di eccezione. È passato ormai un mese dalle ultime elezioni ma i repubblicani continuano a non accettare che Trump ha perso». Ruth Ben-Ghiat commenta così le presidenziali americane che hanno visto la vittoria del democratico Joe Biden, ostacolata dalla «Volontà di Trump di rimanere al potere a tutti i costi». Storica dei regimi autoritari, esperta di fascismo e docente di studi italiani presso la New York University, Ben-Ghiat ha pubblicato il suo ultimo libro il 10 novembre, Strongmen: Mussolini to the Present, in cui traccia l’evoluzione dell’autoritarismo lungo un secolo, dal 1919 al 2019. 

Nel libro infatti sono marcate le tre fasi dell’evoluzione del sistema autoritario, dall’epoca fascista che racconta la presa del potere di Mussolini in Italia, di Hitler in Germania e Franco in Spagna, al periodo dei golpe, in cui l’autrice isola Gheddafi e Pinochet, fino alla cleptocrazia dei giorni nostri à la Putin e, infine, a Berlusconi e Trump.   

«L’autocrazia del nostro tempo è diversa perché i leader si insediano tramite elezioni e poi le manipolano per rimanere in carica», spiega Ben-Ghiat nel corso della nostra intervista. «E qui abbiamo una transizione dalle dittature classiche di uno Stato in cui non c’è opposizione, come era nel caso di Mussolini, a leader che hanno tendenze autoritarie: da quelli come Putin, che ha distrutto la democrazia in Russia, ad altri come Berlusconi che esercitano una forma di governo autoritario all’interno di una democrazia».  

Strongmen ha ricevuto delle critiche proprio sulla categorizzazione dei leader autoritari, qualcuno ha recriminato a Ben-Ghiat di aver accostato Hitler a Trump nonostante le differenze tra i due. Ma lei non si lascia intimorire: «Non si tratta di dire che Trump è come Hitler. Per esempio io non dico mai che Trump è un “fascista”, perché lascio il fascismo in un altro secolo. Oggi i governi autoritari non funzionano come ai tempi del fascismo». I contesti storici sono mutati, «I culti della personalità che sorsero intorno a Mussolini e Hitler nei primi anni ‘20» scrive Ben-Ghiat nel suo libro «rispondevano alle preoccupazioni sul declino dello status dell’maschio, la riduzione dell’autorità religiosa tradizionale e la perdita della nettezza morale».  

Ben-Ghiat rintraccia però degli elementi di continuità con le modalità di esercizio del potere dei dittatori del passato: dall’uso della propaganda, violenza e corruzione alla virilità o al mito della grandezza nazionale, all’atteggiamento nei confronti dell’opposizione e della stampa. «Trump ha dichiarato più volte la sua intenzione di uccidere alcuni giornalisti, ma circostanze democratiche glielo hanno impedito. Il fatto che lui voglia farlo però già lo accomuna ad altri leader ben più famosi per essere illiberali, come Putin, che ha ucciso molti giornalisti». Quello che secondo Ben-Ghiat dovrebbe far riflettere, «E anche farci spaventare», sono i modelli cui ambisce Trump: «Lui è stato molto chiaro, non ammira leader democratici ma leader come Erdogan».   

Altro elemento di continuità è la mascolinità, che prende forma, secondo la storica, «dominando le donne e discreditando le icone maschili degli altri Stati il cui status minacci la sua reputazione», come nel caso del tentativo di Pinochet di cancellare l’eredità di Allende o della crociata di Trump per il certificato di nascita di Obama. «Un’altra costante è il controllo del corpo delle donne in nome della crescita della popolazione, così come le persecuzioni degli individui LGBTQ+, visti come portatori di una sessualità deviata e non riproduttiva».

Un’altra caratteristica dell’uomo forte è quella di voler rimanere al potere, brama che rimane in primo piano anche in situazioni di emergenza, come la pandemia da coronavirus che stiamo vivendo: «Per questo tipo di leader, come Trump e Bolsonaro, la salute pubblica non è una priorità, la loro priorità è restare al potere. E questo ha determinato dall’inizio un tipo di risposta alla pandemia volta a negare o minimizzare il pericolo. Nel caso di Trump la questione è tragica perché non è mai stato al potere per governare, come gli altri presidenti, ma solo per fare soldi e accrescere il culto della personalità. Per questo la morte di milioni di americani non lo riguardano».  

Una delle lezioni di questo libro infatti secondo la sua autrice è che «I caratteri di questi “uomini forti” purtroppo per noi sono uguali. In America la personalità di Trump, le sue aspirazioni, il suo modo di governare un paese, ha molto in comune con Mussolini, solo che oggi le cose funzionano in modo diverso».   

Ruth Ben-Ghiat non è un volto poco conosciuto, anche in Italia. Il 5 ottobre 2017 uscì sul New Yorker un editoriale intitolato “Perché ci sono ancora così tanti monumenti fascisti in Italia?”. L’articolo accese il dibattito, risposero Corriere della Sera e Sole 24 Ore che le riservarono rispettivamente le accuse di “scarsa accuratezza” e “populismo giornalistico”.

«Questo articolo è stato fonte di molta discussione e di questo sono contenta. Il dibattito ha fatto emergere un forte attaccamento delle persone a questi monumenti. Il Palazzo della Civiltà Italiana è bellissimo, pulito, ma la sua facciata bianca nasconde il sangue delle vittime della guerra imperialista che celebra. E non c’è niente, non una targhetta, che spieghi il contesto. In quell’articolo io volevo porre l’attenzione sull’importanza di una spiegazione di questi edifici, non volevo dire di abbatterli, come in Italia è stato frainteso».

Quello che colpì di più Ben-Ghiat fu la reazione italiana: «Non si tocca la memoria del fascismo perché permette il mito di un governo efficiente, il detto “Mussolini ha fatto tante belle cose”, ma in questo mito non c’è tutta la distruzione che Mussolini ha portato al paese. Ancora oggi ci sono questi miti e l’esperienza di questo articolo in Italia mi ha anche spinto a scrivere il libro, per raffigurare la distruzione sulle tante vittime dell’autoritarismo lungo un secolo».