Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Maggio 5 2021
‘Miracolo vaccinale’, Israele a un passo dall’immunità di gregge

Nel Paese del Medio Oriente la campagna di profilassi ha raggiunto grandi risultati. Oggi si intravede la fine del tunnel pandemico

Centonovantasei chilometri di costa mediterranea, 14 che si affacciano sul Mar Rosso. Altri 56 km lungo il Lago di Galilea. Tanto spazio occupano le spiagge in Israele, rocciose o con lunghe distese di sabbia, un litorale affollato di bagnanti. La cartolina di una normalità ritrovata. Primo Paese al mondo vicino all’immunità di gregge, grazie a un’imponente campagna vaccinale. Feste in riva al mare, discoteche aperte, locali di nuovo pieni, persone all’aria aperta senza mascherina. Sembra di esser tornati al 2019, invece è la realtà di uno Stato che si è ammalato, ha chiuso tutto e si è vaccinato.

Iscriviti a Jenner, la newsletter sui vaccini di Zetaluiss

Secondo i dati delle autorità israeliane, su una popolazione di quasi 9 milioni, 5,3 hanno ricevuto le due dosi del vaccino Pfizer/BioNTech. Lo scorso 25 aprile Egan Seral, ricercatore dell’Istituto Weizmann a Rehovot, ha annunciato su Twitter un calo del 98% dei nuovi contagi, del 97% dei malati gravi e del 99% dei decessi. Ancor più di impatto la notizia del 23 aprile: 0 vittime nelle ultime 24 ore, come non accadeva da 10 mesi, con percentuale di casi giornalieri scesa a circa 120 dai 450 di fine marzo.

«È incredibile quanto velocemente si possano dimenticare le brutte esperienze. Se oggi andassi in un bar o in spiaggia, e dicessi alle persone di indossare le mascherine, ci vorrebbe tempo per riproporre la realtà di qualche mese fa. Mi colpisce come la gente resti condizionata da una situazione. Con il lockdown c’era preoccupazione. ‘È orribile’, dicevano. Poi, una volta revocato, sembra tutto meraviglioso». Così Etgar Keret, scrittore e regista israeliano, docente presso la Ben Gurion University, intervistato da Zeta. «Siamo tornati alla normalità, è vero, ma in modo più ansioso. Devo dire che al momento la situazione sanitaria è meno dominante rispetto alle sue conseguenze economiche e alla politica: dopo quattro elezioni non abbiamo ancora un governo».

‘Miracolo vaccinale’, Israele a un passo dall'immunità di gregge
Etgar Keret

Per Keret la pandemia sta mostrando «la parte debole del nostro corpo e della struttura del Paese. Non c’è una società omogenea. Si vede da come il gruppo di ebrei ultraortodossi si è comportato: liberi di negare le regole del governo, hanno tenuto aperte le scuole, celebrato matrimoni. Una situazione paradossale quella in cui a Tel Aviv le persone avevano la mascherina, mentre a Gerusalemme i funerali si svolgevano con migliaia di persone, senza che la polizia intervenisse. Mia sorella ne fa parte, quindi sto vivendo entrambe le realtà. Pensano che le forze dell’ordine abbiano nascosto informazioni su COVID-19 o si tratti di fake news».

Allo stesso tempo va considerato il rapporto, sempre delicato, tra arabi israeliani e il sistema. «Molti si sentono oppressi – prosegue lo scrittore – perché parte della comunità palestinese e la polizia reagiscono in maniera violenta nei loro confronti. Secondo le statistiche, la percentuale di persone con la mascherina non era più bassa di altri gruppi, eppure hanno ricevuto sanzioni cinque volte maggiori rispetto agli ebrei ultraortodossi. Il coronavirus ha evidenziato quanto la nostra società sia caotica: c’è un sistema politico poco funzionante, la convivenza di tre differenti fazioni e la grande domanda su come andare avanti».

Nonostante le tensioni delle ultime settimane, per Keret gli arabi israeliani hanno un forte interesse nel mantenere gli animi distesi. Stessa scelta dei palestinesi, che hanno meno risorse di Israele: «Si vuole evitare uno scontro aperto ora che gli ospedali sono pieni e non c’è personale. Ma la Palestina non potrà ignorare che, al termine delle ultime elezioni, nel Parlamento israeliano è entrata per la prima volta l’ala destra estrema, poco tollerante nei suoi confronti».

Nel frattempo, nel Paese si è ripartiti. Merito di una popolazione circa sette volte più piccola di quella italiana? Considerare solo questo aspetto sarebbe riduttivo, secondo il professor Massimo Andreoni, ordinario di Malattie Infettive e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie infettive di Roma Tor Vergata: «Siamo di fronte a uno Stato che già in altre occasioni ha dimostrato di affrontare i temi di sanità pubblica in maniera decisa. Ad esempio, meglio di tutti ha gestito il problema dei germi ospedalieri multiresistenti».

La campagna di vaccinazione si è basata su categorie precise, tenendo conto di età e fragilità, ma con un’efficienza che in Italia non c’è ancora stata. «L’intervento è stato capillare – prosegue Andreoni – e sono pochi i cittadini a non aver aderito. Noi abbiamo seguito il loro modello, ma non con la stessa intensità e organizzazione. Ci stiamo mettendo troppo, servirebbe un’azione mirata e rapida, dalla circolazione del virus al monitoraggio dei confini. E non dimentichiamo un’altra buona intuizione di Israele: credo abbiano comprato vaccini in anticipo, così da iniziare subito, una volta disponibili. Hanno prima considerato l’idea di averli, poi si sono posti il problema di quali fossero».

‘Miracolo vaccinale’, Israele a un passo dall'immunità di gregge

In caso di COVID-19, secondo Andreoni bisogna raggiungere circa il 70% della popolazione per parlare di immunità di gregge, numeri che le autorità sanitarie israeliane hanno confermato. In questo modo, grazie anche alle misure di contenimento, è possibile tornare a una vita normale. «La dimostrazione che il ‘gregge’ funziona anche senza arrivare al 100%. Se riduci il numero di persone suscettibili, la possibilità che si entri in contatto con il virus è bassa ed è difficile che pochi casi inneschino focolai. E poi, oltre ai soggetti vaccinati, c’è sempre chi si è ammalato e ha acquisito l’immunità con l’infezione naturale».

Infine il tema varianti. L’ultima, che incute paura, è quella indiana. «Bisogna mantenere la guardia – aggiunge l’infettivologo – Ma in Israele è più semplice: con pochi casi puoi fare il sequenziamento virale, il tracciamento è agevole. Non significa esserne immuni, ma ciò si traduce in prontezza nel riconoscerle e bloccarle. Il Paese non è esente dal rischio, ma si trova nella condizione migliore per affrontarlo. Più la circolazione del virus è limitata, minore è la possibilità che si formino varianti. È l’esempio da seguire, che ci deve incoraggiare. La dimostrazione che con la vaccinazione si può sconfiggere COVID-19».