«Se tra sei mesi non si ricomincia a lavorare, dovrò chiudere. Questa volta con la sicurezza di non riaprire più». A parlare è Barbara, 51 anni, titolare di un albergo a Roma, in via Nomentana. Mentre percorre la strada che porta all’entrata della struttura che gestisce dal 2017 le vengono gli occhi lucidi: ha impiegato vent’anni per realizzare il sogno di avere un’attività tutta sua. «Nonostante tutto, non ho intenzione di arrendermi», dice, ma la stanchezza e la frustrazione, dopo due anni di pandemia, iniziano a pesare.
Secondo le stime di Federalberghi, la maggiore associazione di categoria del settore, durante il primo lockdown la quasi totalità delle strutture ha chiuso a causa di un calo della domanda. «In quel periodo, nella zona di Porta Pia, eravamo uno dei pochi hotel aperti. La percentuale media di occupazione-camere era del 6 per cento contro il 95 per cento del 2019. Per limitare i costi, mio marito e io ci siamo sostituiti a tutte le figure che ruotano attorno la nostra attività: siamo diventati receptionist, camerieri, cuochi, facchini, guardiani notturni. Facevamo anche le tre di notte ad attendere l’unico cliente in arrivo. In poco tempo il bilancio è andato in rosso».
Una realtà che ha riguardato anche altri albergatori, come Alba, titolare di un hotel nei pressi della Stazione Termini. «Fino a ora, gli aiuti finanziari sono stati insufficienti a fronte di costi elevati come sono le utenze, l’affitto, il mutuo. L’unica soluzione era lasciare il personale in cassa integrazione e cercare di mandare avanti la struttura da sola».
In un comunicato del 12 gennaio 2022, Bernabò Bocca, Presidente di Federalberghi, organo di rappresentanza degli albergatori italiani, ha parlato della «più grande crisi che si sia mai vista nel settore». Secondo l’associazione di categoria, nel 2021 sono andate perse 148 milioni di presenze turistiche, di cui 115 milioni di clienti dall’estero, che per città d’arte come Roma sono la componente più rilevante.
«Nel 2020 non si sono visti stranieri. Le poche prenotazioni erano soprattutto di italiani in viaggio per lavoro, che soggiornavano solo per qualche giorno» afferma Barbara. «Lo scorso anno, invece, qualcuno dall’estero è arrivato, ma niente a che vedere con i bei tempi dell’overbooking, quando il numero di prenotazioni superava addirittura il numero di camere disponibili della struttura». Secondo il Datatur 2021, un rapporto contenente statistiche sull’economia del turismo, nel primo anno di pandemia c’è stato un grave calo dell’afflusso turistico. Anche in ragione delle misure adottate per limitare la diffusione del contagio, il numero complessivo di alberghi in attività si è ridotto dell’1,6 per cento, un dato in aumento rispetto agli anni precedenti, con un picco del 4,4 per cento tra le strutture di piccole dimensioni. La diminuzione del numero di viaggiatori, in particolare stranieri, ha colpito soprattutto il Lazio con il 75,9 per cento di presenze in meno rispetto al 2019.
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A ciò si accompagna il diffuso senso di incertezza degli albergatori. «Il 31 dicembre 2021 è scaduta l’ultima proroga della Cassa integrazione relativa alla nostra categoria. Nessuno sa se verrà rinnovata. Se così non fosse, il costo del personale ricadrebbe sul bilancio della mia azienda. Sarò costretta a licenziare persone con cui collaboro da anni. Per molti di loro questo lavoro rappresenta l’unica fonte di reddito», dice Barbara. Come lei, anche Barbara Nardelli, Presidente del Comitato albergatori romani, è convinta che, senza aiuti, il licenziamento sia un’opzione inesorabile. «Non ci sono prenotazioni nei prossimi mesi, stiamo andando avanti con una sola camera occupata a settimana. Di questo passo, il mio albergo chiuderà come tanti altri hanno già fatto».
In un recente studio di settore, si apprende come la maggior parte degli impiegati nel turismo siano stranieri, donne e giovani. Tra questi si registra la percentuale più alta di lavoratori che hanno sofferto del calo occupazionale verificatosi tra il 2019 e il 2020. A cavallo tra i due anni hanno perso il lavoro 347mila dipendenti, di cui il 34,2 per cento solo nei servizi ricettivi.
«Non so se mi vedo ancora in questo ambito tra qualche anno, dipende tutto dalla pandemia. Se si continua così, è inutile sperare in un futuro nell’hotellerie, le persone non viaggiano e gli alberghi stanno chiudendo, saranno anni difficili». A parlare è Christian, 19 anni, che sta svolgendo uno stage come receptionist in un hotel della zona nord-est di Roma. Non è dello stesso parere Diego, 22 anni, da qualche mese front desk nella stessa struttura: «La pandemia va avanti da due anni e con ogni probabilità continuerà ancora. Nonostante questo, credo che presto impareremo a convivere con il virus, diventerà una malattia qualsiasi, come una febbre. Si andrà avanti. Io in questo settore continuo a credere, si deve riprendere, ci vedo il mio futuro. C’è spazio per noi giovani e per la nostra voglia di fare».
Una speranza, quella di Diego, che sembra in parte confortata dall’ultimo report di Istat del 12 gennaio 2022, “Movimento turistico in Italia”. Le presenze dei clienti nelle strutture ricettive sono in crescita rispetto al 2020, registrando un aumento del 22,3 per cento. È vero che si è ancora molto lontani dai livelli del 2019, rispetto al quale si calcola ancora un -38,4 per cento, ma alcuni vogliono leggere in questo dato un segnale di futura ripresa. Secondo Alba, «noi abbiamo fatto la nostra parte, abbiamo resistito, abbiamo messo a frutto i periodi di chiusura temporanea migliorando le nostre strutture, così da offrire un servizio di qualità ai clienti che verranno. Adesso ci aspettiamo riforme strutturali. La nostra città vive di turismo, le istituzioni devono sostenerci perché noi vogliamo ripartire. I turisti torneranno e noi ci riprenderemo, ma solo se qualcuno interverrà per aiutarci».