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Esclusiva

Marzo 21 2022
Dalla mafia agli algoritmi. La distopia secondo Pif

“E noi come stronzi rimanemmo a guardare” denuncia il precariato dei rider immaginando una realtà non troppo lontana

Quello che prima del Covid era futuro, adesso è già presente. Arturo (Fabio de Luigi) ha più di quarant’anni e ha perso il lavoro. Prova a cercare un nuovo impiego, ma gli algoritmi lo considerano troppo vecchio. «È la risposta che oggi giustifica tutto. Quando tu chiami qualcuno per un disservizio, ti rispondono: io vorrei, ma è l’algoritmo».  Pif torna alla regia per raccontare un mondo futuro ma già attuale dove dati e algoritmi, invece di facilitare la vita all’uomo, la svuotano di umanità. Uomini che interagiscono attraverso schermi, che cercano rimedio alla solitudine con gli ologrammi, che vivono il lavoro come fonte di produttività e null’altro: E noi come stronzi rimanemmo a guardare.

Comicità sì, ma non troppo

«Quando racconto storie, forse il mio errore è sempre quello di gettarla in politica». Il film ha i toni di una commedia che sconfina con il dramma. Pif ha cercato di limare la comicità sia nella sceneggiatura sia nella recitazione. «Non volevo dare troppo colore alla commedia, ma portare le persone in un mondo che è un po’ un incubo, per far vedere dove stiamo andando». Una dramedy che ha il volto di Fabio de Luigi e non più di Pierfrancesco Diliberto come nei primi due film. Dopo In guerra per amore, il regista ha capito che non riesce a lavorare «come regista e attore insieme perché finisco sempre per concentrarmi troppo sul primo aspetto». La scelta è ricaduta su De Luigi per un’affinità comica. «Ci accomuna il fatto che siamo entrambi comici che subiscono la vita, non che la aggrediscono. Quando Fabio, nella finzione, si arrabbia, fa ridere perché capisci che alla fine ti chiederà scusa».

Dalla mafia agli algoritmi. La distopia secondo Pif

Un film di denuncia

E se il comico subisce la vita, tutti noi subiamo l’algoritmo. Portando in giro il film per l’Italia con la CGIL, Pif ha conosciuto persone esattamente come il protagonista del film. «È una caduta che non si ferma più: perdi il lavoro, cominci a fare il rider, ma una volta che sei dentro non riesci più a fermarti, non hai tempo di cercare altro». Il povero diventa sempre più povero, chi sta sopra diventa sempre più grande. «Stiamo parlando di aziende che vendono questo lavoro come un lavoro figo. Quando JustEat concede un’assicurazione lavorativa, festeggiamo per una cosa che per la mia generazione era la base». E queste condizioni sono sotto agli occhi di tutti. La domanda è solo una: «Come mi disse un rider: ‘Noi facciamo questa vita. Ma voi consumatori siete disposti a cambiare pagando di più?’».

Tutti consumatori, tutti colpevoli

«Mettiamo un limite, altrimenti diventiamo delle bestie». Se con la privacy dei dati è una guerra persa, non si può ignorare quando l’algoritmo viene applicato al mondo del lavoro. Per questo ha scelto un titolo così forte. «Ho sentito dire quella frase da Andrea Camilleri ad un comizio. Lui diceva che era di poeta, ma non ha mai saputo dirmi chi fosse. Probabilmente… era sua!». Anche per questo è dispiaciuto che il suo film non sia uscito al cinema: «entrare in sala significa entrare nella discussione del paese». Tra i progetti futuri del regista, c’è quello di imparare a raccontare il presente. «Mi viene spontaneo con la tv, ma non con il grande schermo». Ma la realtà di E noi come stronzi rimanemmo a guardare è solo apparentemente fantascienza.

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