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Esclusiva

Aprile 5 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 31 2022
La strage dell’informazione

Dallo scoppio del conflitto in Ucraina, sono dodici i reporter rimasti uccisi, feriti o scomparsi ed il numero continua a crescere

Sono dodici i giornalisti morti nel conflitto in Ucraina. È Maksym Levin il nome dell’ultimo reporter che ha perso la vita dallo scoppio della guerra. Fotografo e documentarista ucraino di 41 anni, è stato ritrovato morto il 2 aprile nel distretto di Vyshgorod, nella regione di Kiev. Collaboratore di Reuters, Associated Press e Bbc, molti dei suoi scatti erano stati pubblicati da testate come Time, Elle, World news, Wall Street Journal. La maggior parte dei suoi lavori documentaristici si erano concentrati sul conflitto ucraino perché, come lui stesso ha detto, «ogni fotografo ucraino sogna di scattare una foto che fermerà la guerra».

«Prendere di mira i giornalisti è un crimine di guerra», così è stato commentato da Reporter Senza Frontiere l’allarmante numero di reporter morti in questo conflitto. Il primo caduto di questa guerra è stato il giornalista del settimanale ucraino Around You di Kherson, Dealerbek Shakirov, colpito dai russi il 26 febbraio. 

L’1 marzo, durante l’attacco alla Tv tower di Kiev ha perso la vita Yevhen Sakun, 49 anni, cameraman del canale TV Live. La distruzione di una struttura delle trasmissioni televisive di Kiev si era già arrecata la condanna delle Federazioni Internazionale ed Europea dei Giornalisti (IFJ e EFJ) che sono arrivate a definirla come un crimine di guerra, sollecitando l’esercito russo a non prendere di mira i lavoratori e le strutture dei media.

Viktor Dedov, uno degli operatori più importanti della stazione televisiva ucraina Sigma-TV, si trovava in casa quando l’11 marzo due bombe hanno colpito il suo appartamento a Mariupol. La famiglia non lo ha neanche potuto seppellire a causa di un incendio scoppiato nella casa per una granata. 

Quattro i reporter ucraini uccisi mentre svolgevano il loro lavoro. Tra loro altri hanno perso la vita combattendo per difendere la loro patria dall’invasione, come Victor Dudar, di Leopoli, ucciso il 6 marzo a Mykolaiv, Oleh Yakunin, caporedattore di alcuni siti web, ucciso durante un combattimento a Zaporizhzhia il 18 marzo e Yuriy Oliynyk, che il 23 marzo ha perso la vita vicino Lugansk. Anche del giornalista di Leopoli, Ruslan Orudzhev, non si hanno più notizie dal 18 marzo, quando si è allontanato dalla sua posizione senza più fare ritorno.

Brent Renaud, video-reporter americano, ex collaboratore anche del New York Times, è stato ucciso ad Irpin, a pochi chilometri Kiev, il 13 marzo. Stava filmando i profughi in fuga dalla città per un documentario sulla crisi mondiale dei rifugiati per Time Studios, quando è stato colpito da colpi di arma da fuoco ad un checkpoint. Avrebbe compiuto 51 anni in autunno e nella sua carriera si era spesso occupato di temi caldi, seguendo tra gli altri i disordini in Egitto e il terremoto ad Haiti. Nell’attacco è rimasto ferito anche il collega Juan Herrera Arredondo. Da questa uccisione il sindaco della città di Irpin ha annunciato che non sarà più consentito ai giornalisti l’accesso per ragioni di sicurezza.

Soli due giorni dopo sono stati uccisi a Horenka, vicino Kiev, il cameraman irlandese di Fox News Pierre Zakrzewsky, 55 anni, e la giornalista ucraina Oleksandra Kurshinova, che lo stava accompagnando come guida. Zakrzewsky, che nella sua carriera aveva coperto ogni fronte per Fox è stato ricordato da molti colleghi per la sua bravura e la sua umanità. Insignito del premio “Eroe sconosciuto”, era stato uno dei personaggi chiave nel portare via dall’Afghanistan giornalisti afghani e le loro famiglie. Con loro c’era anche Benjamin Hall, anche lui corrispondente dell’emittente televisiva, che è rimasto ferito nell’attacco. 

Il 23 marzo è morta Oksana Baulina, giornalista russa, costretta a lasciare la sua patria perché additata come estremista, stava lavorando per il giornale indipendente The Insider, quando è rimasta coinvolta nei bombardamenti di Kiev. Il 30 maggio ha perso la vita il reporter freelance francese Frédéric Leclerc-Imhoff, rimasto ferito al collo da schegge di granate russe mentre stava documentando l’evacuazione umanitaria nel Donbass.

Si è parlato di un accanimento nei confronti della stampa, che non è stata protetta neanche dai giubbotti antiproiettile con sopra scritto “Press”. È il caso della troupe di Sky News britannica, colpita i primi di marzo da armi russe che non si sono fermate neanche dopo che i reporter hanno urlato mostrando la targhetta della stampa. Una sorte simile è stata quella di Maksym Levin, che, dopo essere scomparso il 13 marzo, è stato ritrovato ucciso con due colpi di piccolo calibro, mentre indossava ancora il suo giubbino antiproiettile con la scritta “Press” in evidenza. In molti ritengono che la morte del fotoreporter e documentarista sia una vera e propria esecuzione mirata e non un incidente di guerra. 

Valerio Nicolosi, inviato della rivista MicroMega e tornato in Italia da pochi giorni, non crede di poter definire questa come una guerra in cui vi è un particolare accanimento nei confronti dei giornalisti. «La stampa spesso viene presa di mira dagli eserciti, è un elemento tipico delle guerre moderne, perché esse si fondano sulla propaganda. Per quanto vi sia sempre stato un utilizzo manipolatorio dell’informazione, negli ultimi decenni i media sono diventati molto più influenti, e questo rende i giornalisti uno degli obiettivi principali». La diversità, forse, rispetto ad altri conflitti è quando «la propaganda è essa stessa la guerra. Non è più un semplice elemento funzionale ai conflitti, ma ne è parte integrante».

«Sono partito da Leopoli e, passando per Kiev, sono arrivato a Kharkiv» ha raccontato Salvatore Garzillo, inviato per Fanpage. «La verità è che non c’è una linearità di trattamento nei confronti dei giornalisti. Ad esempio, a Leopoli la situazione era molto più semplice, giravamo più tranquilli per la città, perché era un fronte meno caldo. Anche a Kiev la situazione è stata molto fluida». I rischi però ci sono, come in tutte le guerre. Garzillo non può descrivere con esattezza qual è la condizione dei cronisti in questo momento, perché «la situazione per noi qui è variabile a seconda del momento e della zona. Anche se sì, come in tutti i conflitti, ci sono degli obblighi che vanno rispettati in ogni caso, come ad esempio il divieto di filmare posti di blocco o aree interdette».

Al 30 maggio 2022 sale almeno a trenta il numero di giornalisti rimasti uccisi nel conflitto. A loro è stata dedicata una piccola mostra davanti al Media Centre di Leopoli, con lo scopo di ricordare e rendere omaggio a quelle vite perse per raccontare al mondo la guerra. Questo elenco, però, continua ad allungarsi di giorno in giorno. Ad oggi, ogni tre giorni è morto un reporter.