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Esclusiva

Aprile 8 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 13 2022
Storia di chi torna e chi fugge

Il racconto dell’inviato di Zeta, Giorgio Brugnoli, dal confine fra Polonia e Ucraina

Sono da poco passate le quattordici. Il convoglio umanitario composto da un pullman, due autoambulanze e tre automezzi dei vigili del fuoco è pronto. Finite le foto di rito con le associazioni partecipanti si avvicinano al piazzale due donne accompagnate come un’ombra da due bambini. Una si fa avanti e in un italiano segnato dalla provenienza dall’est chiede tre posti per l’amica, direzione Leopoli. Dopo un bacio frettoloso per non cedere all’emozione si separano. La promessa è di rivedersi presto tutti insieme, come ai vecchi tempi.

La giovane madre si chiama Valentina e prima della guerra lavorava in un albergo. La mattina del 24 febbraio ha ricevuto all’alba la telefonata dello zio che le annunciava l’arrivo dell’armata russa. Niente panico, nessuna lacrima, l’unico pensiero era mettere al sicuro i suoi due gemelli, Veronika e Igor. Quel pomeriggio stesso preparò le valigie per entrambi e li caricò su un pullman diretto in Polonia affidandoli a una vicina. A pochi minuti dalla partenza capì che separarsi dai figli non era un’opzione percorribile e salì a bordo.

In Polonia rimasero due settimane, poi iniziò un’odissea in vari paesi europei fino ad arrivare a Lugano in Svizzera. La famiglia di lei, di origine ebraica, li attende in Israele ma senza passaporti il viaggio sembra impossibile. Inutili le richieste disperate nelle diverse ambasciate, inutili i contatti messi in campo nella comunità ucraina all’estero. Un funzionario del consolato israeliano le comunica infine l’unica paradossale via percorribile: tornare a casa.

Ad attenderli a Medyka, città di confine dove è possibile entrare in Ucraina a piedi, il marito. Come tutti gli uomini dell’età compresa tra i 18 e i 64 anni non può lasciare il paese ed è stato arruolato. Aveva una fabbrica di batterie per apparecchi elettronici ma adesso non lavora più. «Ha trasformato la casa in una fattoria» scherza lei prendendo il cellulare e mostrando le foto di cani e gatti trovati per strada, abbandonati durante le varie fughe.

Superata l’Austria e la Repubblica Ceca finalmente si entra in Polonia. I bambini, dopo ventidue ore di viaggio, iniziano ad essere provati ma la voglia di rivedere il padre vince sulla stanchezza. Il maschio, introverso e timido, guarda fuori dal finestrino con gli occhi pieni di speranza ma un’ombra nasconde le preoccupazioni per quel ritorno pericoloso. La femmina è più temeraria e incalza il fratello che non reagisce, perso nei suoi pensieri. Valentina cerca di sdrammatizzare e rendere la verità sulla situazione meno amara ma sottovoce confida che «da quando siamo partiti, tutti i giorni si svegliano e la prima cosa che mi chiedono è se devono andare nello scantinato per evitare le bombe»

Mancano pochi kilometri a Medyka, casa è giusto al di là della frontiera.

«Vado a vedere quel che resta del mio paese» dice in inglese, parlando tra sé, alla vista della dogana. In un’area di servizio deserta l’incontro con il marito. Non hanno tempo per sentimentalismi e dopo un ringraziamento veloce ci separiamo.

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