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Esclusiva

Aprile 9 2022
Torna il terrorismo, scia di sangue in Israele

Quattordici morti nelle ultime tre settimane. È massima allerta nello Stato ebraico

A Tel Aviv il terrore si è impadronito della notte. La musica dei locali in festa di Dizengoff Street giovedì verso le ventuno è stata d’un tratto sovrastata dalle urla di chi era uscito di casa soltanto con l’idea di passare una serata in compagnia. Dodici spari. Tre morti. A perdere la propria vita sono stati Eytam Magini e Tomer Morad, ragazzi di appena ventisette anni, e Barak Lufan, un padre di famiglia di trentacinque anni proveniente dal kibbutz di Givat Shmuel. Prima di aprire il fuoco contro il bancone e l’area circostante, Raad Hazem era seduto sulla panchina di fronte ai tavolini dell’Ilka bar, come un passante qualsiasi. Il ventinovenne, un palestinese originario di Jenin, città della Cisgiordania settentrionale, si è dato quindi alla fuga provandosi a nascondere vicino alla moschea del porto di Giaffa. La caccia all’uomo si è conclusa alle prime luci di venerdì, quando le forze di sicurezza israeliane lo hanno rintracciato e ucciso. Hazem, militante delle “Brigate dei Martiri di al-Aqsa”, non aveva precedenti penali e non era mai stato segnalato come sospetto terrorista dallo Shin Bet, l’intelligence d’Israele.

Salgono a quattordici i morti dai primi attacchi della nuova ondata jihadista che lo scorso ventidue marzo ha iniziato a travolgere la nazione guidata da Naftali Bennett. Era dal 2006 che non si assisteva a una serie di attentati così sanguinosi nel giro di poche settimane. Il premier, che sta facendo i conti anche con uno sfaldamento della sua maggioranza parlamentare alla Knesset, mantiene alto lo stato d’allerta in un periodo che vede coincidere le celebrazioni per la Pesach ebraica e la Pasqua cristiana con quelle del Ramadan dei musulmani. «Un aspetto importante da tenere in considerazione in riferimento agli ultimi attacchi è che gli attentatori siano cittadini arabo-israeliani. La minaccia dunque si è estesa all’interno d’Israele e c’è da domandarsi se dietro questi cani sciolti ci sia una regia effettivamente organizzata». Anna Maria Cossiga, professoressa universitaria esperta di storia ebraica e analista della Fondazione Leonardo Med-Or, commenta così ai nostri microfoni i recenti sviluppi.

L’aumento delle truppe militari dispiegate lungo la striscia di Gaza e centinaia di arresti dall’inizio dell’anno non hanno impedito all’escalation di prendere forma. L’organizzazione politica e paramilitare Hamas ha benedetto gli attentati definendoli atti eroici; mentre Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, li ha condannati sottolineando come essi deteriorino ulteriormente le relazioni con lo Stato ebraico. «La leadership di Abu Mazen ha fatto il suo tempo. In molti vogliono un cambiamento. La retorica di Hamas invece è la stessa: hanno sempre inneggiato agli attentatori che fossero i loro o meno. La presa sui giovani palestinesi da parte della formazione fondata da Yassin accresce sempre di più vista la debolezza dell’ANP e l’estremizzazione confessionale d’Israele».

Nonostante la notte di paura sia ancora un ricordo vivissimo, molti cittadini di Tel Aviv hanno reagito provando ad andare subito oltre. «Sono cresciuto negli anni Duemila quindi sono abituato a convivere con questo genere di situazioni. Stasera uscirò con i miei amici a Dizengoff Street perché non voglio che i terroristi ci impediscano di goderci la vita». Adi è appena rientrato da Gerusalemme dove era in visita con degli amici svizzeri. Giovedì sarebbe potuto essere seduto ai tavolini dell’Ilka bar, a un isolato dal suo appartamento. «C’è un po’ di tensione nell’aria ovviamente ma percepisco anche la volontà generale di continuare a vivere normalmente le nostre vite. Abbiamo affrontato momenti peggiori di questo. Siamo pronti a qualsiasi cosa, lo siamo sempre stati».