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Esclusiva

Dicembre 9 2022
«Donna Vita Libertà», dalle piazze alla letteratura

Le proteste in Iran riportano in primo piano le parole dell’autrice Azar Nafisi, ospite di Più libri più liberi

Si torna a Leggere Lolita a Teheran o forse non si è mai smesso. Nella classifica IBS è il titolo che nell’ultimo mese ha scalato oltre ottocento posizioni, arrivando in questi giorni a essere il decimo più venduto in tutta Italia. Eppure il best seller dell’autrice iraniana Azar Nafisi nel 2023 compie vent’anni e racconta una storia che prosegue almeno dal doppio del tempo, quella dell’Iran che resiste alla Repubblica islamica e alle fatwa, le condanne a morte del regime.

Quando il 16 settembre Mahsa Amini muore a seguito delle percosse della polizia morale, per un ciuffo di capelli fuori dall’hijab, per le strade si riversano donne e uomini, della vecchia e della nuova rivoluzione che ancora una volta «riguardano tutti, sono esistenziali e non politiche», afferma Amini stessa durante il dialogo con Michela Murgia alla fiera dell’editoria romana Più libri più liberi. Le circostanze della morte di Amini e l’esplosione mediatica delle proteste riaprono una lotta mai chiusa del tutto, da cui l’Occidente aveva soltanto distolto lo sguardo. Lo ricorda con fermezza Nafisi quando nomina tutti gli artisti, i poeti, i registi che con le loro opere hanno provato a dar voce al dissenso.

Uno degli ultimi è Jafar Panahi, celebrato alla Mostra di Venezia 2022 con un Premio speciale della giuria a Gli orsi non esistono, proprio per il coraggio di girare uno straordinario film sulla potenza sovversiva delle immagini, in segreto contro le minacce del governo iraniano e, anche per questo, incarcerato a luglio e grande assente al Lido. Non solo nella prigione di Evin, tuttavia, gli intellettuali rischiano la morte. Parlando dell’attentato dello scorso agosto a Salman Rushdie, condannato dall’ayatollah Khomeini nel 1989 per i Versetti satanici, Nafisi infatti afferma che «il regime teme l’arte e la letteratura per il loro potere rivoluzionario, per la loro struttura democratica, per la loro costante ricerca della verità che insegna a non restare in silenzio».

Le uniche armi a disposizione di artisti e scrittori sono solo le loro parole e proprio la necessità del regime di metterli a tacere è indicativa del loro potere rivoluzionario. Eppure sono voci che risuonano forte, non solo con l’urlo di battaglia abbracciato da tutto il mondo negli ultimi mesi, Donna, vita, libertà, ma anche con uno slogan di piazza che proviene intatto dal 1979: «la libertà non è né dell’Occidente né dell’Oriente, è globale», come non è né femminile né maschile. «Tra le immagini delle proteste vedete gli uomini in strada che indossano l’hijab e le donne che lo tolgono. Manifestano insieme il diritto di definire le loro identità, le loro dignità.

Senza lasciare che siano le leggi e il governo a modellarli, a uniformarli. È un uomo anche il primo dei manifestanti a essere stato giustiziato, poche ore fa», si riferisce così la scrittrice a Mohsen Shekari, il ventitreenne su cui è stata eseguita la prima condanna a morte finora nota dopo quasi tre mesi di proteste e arresti della polizia morale. Ciononostante la si continua a chiamare la rivoluzione delle donne, quella in atto in Iran, forse perché è un tassello che si aggiunge alle rivendicazioni femminili che hanno attraversato il mondo nell’ultimo anno, dalla lotta delle cittadine statunitensi per il diritto all’aborto libero e sicuro alle attiviste polacche che per garantirlo contro il divieto nazionale rischiano ogni volta otto anni di carcere.

«Nelle donne sembra esserci un innesco sempre efficace di ribellione», suggerisce Michela Murgia, incalzando la successiva risposta di Nafisi che commuove l’intera platea presente al Centro Congressi La Nuvola: «Le donne sono state derubate della libertà e per questo ora sono in prima fila. Sono state le più oppresse. Essere donna in Iran è come se qualcuno all’improvviso ti dicesse ‘Tu non sei chi sei, sei un pezzo della mia immaginazione, come voglio che tu sia’. Vogliono toglierci il potere ma noi resistiamo. Da quarantatré anni resistiamo. Ci trucchiamo, lasciamo una ciocca cadere fuori dall’hijab, scendiamo in strada, solo per dire ‘Tu non mi possiedi’. Le donne sono diventate le creature più pericolose sulla Terra. Non è meraviglioso essere pericolose? Io penso sia fantastico»

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