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Esclusiva

Dicembre 16 2022
«Noi cerchiamo di essere la voce della popolazione ucraina»

La testimonianza di Antonio Stango, presidente della Federazione Italiana Diritti Umani e della vicepresidente Eleonora Mongelli all’evento Ucraina in Europa.

«La Corte Penale Internazionale ha competenza ma non in caso di stati come la Federazione Russa che non è membro dello Statuto di Roma. In questo caso servirebbe un tribunale speciale, un tribunale internazionale nuovo. E per fare questo c’è bisogno che molti Stati si uniscano, un po’ come avvenne anche per l’istituzione della Corte penale internazionale». Così Antonio Stango, presidente della Federazione Italiana Diritti Umani (Fidu), a margine dell’evento Ucraina in Europa: identità, storia, sicurezza e prospettive, ha commentato la richiesta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di creare un “tribunale speciale” con il compito di giudicare i crimini di guerra russi.  

I bombardamenti russi  

Intanto Putin continua a bombardare le infrastrutture energetiche ucraine lasciando la popolazione al freddo, senza luce, acqua e riscaldamento. Una situazione drammatica che, nei prossimi mesi, potrebbe comportare un incremento dell’afflusso di rifugiati ucraini in Europa. Una strategia portata avanti da Mosca anche per premere sui negoziati alle proprie condizioni. «Putin e il suo regime cercano di usare ogni mezzo per ottenere dei vantaggi. La comunità internazionale degli stati democratici deve opporsi a tutto questo. Putin ha usato l’arma alimentare bloccando il flusso di grano e usa il potere di veto della Federazione Russa al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Può usare quindi anche la gestione delle ondate di persone che lasciano temporaneamente l’Ucraina per usufruire di protezione umanitaria. È compito dell’Europa dare accoglienza, rimanendo fermi nei confronti della Federazione russa e del regime di Putin».  

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L’importanza di un nuovo sistema di sicurezza internazionale 

Durante il panel “Giustizia, responsabilità e relazioni internazionali”, Stango ha inoltre spiegato che «c’è una serie di trattati che la Federazione Russa ha violato, uno dopo l’altro, fin dal 1991, l’anno dell’Indipendenza Ucraina. La violazione di qualsiasi trattato ci deve far capire che è impossibile fidarsi del regime di Vladimir Putin» e ha sottolineato l’importanza di arrivare a un nuovo sistema di sicurezza internazionale. Un obiettivo da raggiungere attraverso un lavoro collettivo in grado di coinvolgere tutti: società civile, organizzazioni, istituzioni statali e internazionali e il mondo del giornalismo e dei media. «Noi cerchiamo di essere la voce della popolazione ucraina e cerchiamo di farlo in tutte le organizzazioni internazionali dove possiamo intervenire come società civile». 

L’info-war e la diffusione della disinformazione   

«Dall’invasione dell’Ucraina, il governo russo ha cercato di reperire tecnologie informatiche straniere da prodotti di consumo civile, destinati all’utilizzo militare per commettere crimini in Ucraina, con la conseguenza che è impossibile distinguere tra i beni destinati al consumo civile e quelli per uso militare e criminale» afferma Eleonora Mongelli, vicepresidente della Fidu intervenuta nel panel “Disinformazione”, mentre introduce il fenomeno dell’info-war, basato sull’importanza strategica delle tecnologie digitali per alimentare la macchina propagandistica del Cremlino e diffondere la disinformazione in maniera capillare.  

Eppure, l’utilizzo di questi strumenti non si è affermato con la necessità di giustificare l’invasione dell’Ucraina da parte dei russi: già nel 2015 in Siria, il governo russo si era avvalso della tecnologia dell’informazione per tracciare e colpire individui, attaccare le infrastrutture digitali dei vari settori sociali, industriali e governativi, ed infine indirizzare le operazioni di propaganda. Ma la vera novità sta nell’aver appreso che la Russia si affida alle tecnologie informatiche straniere per attaccare i loro sistemi informatici: «dai server più avanzati di posta elettronica alla capacità di gestione della rete, di streaming, fino ai software di progettazione. Secondo un report recentissimo, circa il 38% delle importazioni in Russia di IT e il 63% di quelle elettroniche provengono dall’UE, dall’UK e dagli USA», precisa Mongelli.  

L’effetto delle nuove sanzioni europee 

A tal proposito, venerdì 16 dicembre l’UE ha adottato un nuovo pacchetto di sanzioni che prevede il coinvolgimento di altri media di propaganda, in quanto «la Russia utilizza questi canali di proprietà dello Stato per diffondere intenzionalmente propaganda e condurre campagne di disinformazione anche sull’aggressione militare all’Ucraina. Le restrizioni riguardano tutti i mezzi di trasmissione e distribuzione negli stati membri dell’UE o ad essi diretti, compresi i canali via cavo, satellite, siti web e app. In linea con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, queste misure non impediscono a questi media e al loro personale di svolgere nell’UE attività diverse dalla trasmissione, come ad esempio ricerche e interviste» prosegue Mongelli, citando testualmente un passaggio del documento europeo.  

Tuttavia, la principale criticità nell’applicare queste sanzioni sta proprio nel farlo senza danneggiare la società civile e il suo diritto di accedere agli strumenti tecnologici, senza che questi finiscano nelle mani sbagliate. Secondo uno studio dell’International Working Group on Russian Sanctions della Stanford University, sebbene molti Paesi abbiano imposto restrizioni alla vendita di componenti e sistemi di supporto militare alla Russia, ancora molti prodotti sfuggono a tali misure. Le aziende dei Paesi sanzionatori sono ancora piuttosto libere di decidere la natura del loro rapporto di business con il Cremlino. Di conseguenza, sia il governo russo che attori non statali continuano ad esercitare una notevole influenza sull’informazione e sull’opinione pubblica, a livello nazionale ed internazionale, servendosi della disinformazione. 

La disinformazione russa colpisce anche le sanzioni 

Persino le sanzioni stesse sono sfruttate dal governo russo come strumento di propaganda, secondo cui non stanno sortendo alcun effetto sull’economia russa, che godrebbe di ottima salute. In questo senso, la vicepresidente della FIDU cita l’analisi economica pubblicata dalla Yale University nel luglio scorso, che afferma invece come le sanzioni stiano in realtà colpendo in modo efficace l’economia russa. Ma, allo stesso tempo, lo studio mostra come la Federazione russa faccia disinformazione sull’argomento, lasciando esclusivamente i dati più favorevoli e tralasciando il resto.  

Perciò, queste statistiche filtrate vengono poi diffuse anche nei nostri talk show o quotidiani da esperti poco attenti per costruire delle previsioni favorevoli al Cremlino, che non trovano riscontro nella realtà. Qui subentra la correttezza dell’informazione: non bisogna solo verificare attentamente le fonti, ma anche utilizzare un linguaggio corretto. L’utilizzo di termini sbagliati, soprattutto in contesti complessi come quello di un’aggressione di un Paese verso un altro, può portare ad interpretazioni fuorvianti», aggiunge la vicepresidente della FIDU, riferendosi al fatto che molte persone sono ancora convinte della regolarità del referendum per l’annessione della Crimea nel 2014, in realtà mai riconosciuto dalla comunità internazionale.  

Se la scelta dei termini da utilizzare in un dibattito si rivela importante per evitare che sorgano problemi di interpretazione, non bisogna permettere alla disinformazione di spostare l’attenzione dalla realtà dei fatti (costituita dai crimini di guerra e dalle vittime) perché «questo ha un impatto sull’opinione pubblica, nonché sul dibattito politico e sulle scelte che facciamo per sostenere l’Ucraina», conclude Mongelli.          

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