Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Febbraio 8 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 13 2023
Addiopizzo, «energia rinnovabile» contro il racket

L’associazione palermitana da quasi vent’anni si oppone alle estorsioni mafiose: «non è vero che chi alza la testa finisce male»

Palermo fu tappezzata di adesivi una notte del 2004. Listati a lutto, gli stampini recitavano «Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». Li aveva prodotti e attaccati in giro per la città un gruppo di giovani attivisti palermitani. Erano convinti che, a dieci anni dalla grande reazione seguita allo stragismo mafioso, l’assuefazione alla criminalità organizzata si fosse di nuovo impadronita della loro città e volevano dare una sveglia alla comunità, che a loro sembrava dormiente. È l’inizio della «storia entusiasmante» di un’associazione che ha portato migliaia di siciliani a ribellarsi al potere mafioso, a creare una rete che sostiene le vittime di estorsione. Dal successo di quell’iniziativa è nata Addiopizzo.

«Il pizzo non è la maggiore entrata di un’organizzazione mafiosa, ma è il simbolo del suo dominio sul territorio», dice Pico Di Trapani, membro del direttivo di Addiopizzo e nella rete dal 2011. Il «faro» dei fondatori era Libero Grassi, imprenditore ucciso da Cosa nostra per aver denunciato pubblicamente i suoi estorsori. Alla sua lettera al «Caro estorsore», pubblicata nel gennaio 1991 sul Giornale di Sicilia, seguì una campagna di delegittimazione che portò al suo assassinio. «La mafia lo ha assassinato perché aveva fiutato il suo isolamento. Per questo, i ragazzi nel 2004 avevano deciso di continuare il suo impegno. Ma perché le denunce non finissero come quella di Libero Grassi, era necessario che tutti collaborino con i commercianti. È la comunità che deve dire “No!”, abbandonando pigrizia, incoscienza e paura».

Addiopizzo

Da lì l’idea del “consumo critico”, l’iniziativa che ancora oggi rappresenta il cuore dell’associazione e la sua principale strategia di lotta alle mafie. Consiste nell’impegno da parte dei cittadini e consumatori di preferire commercianti, artigiani e imprenditori che denunciano le estorsioni, aderendo gratuitamente alla rete di imprese «mafia-free». «In questo modo sono i consumatori che premiano con i propri acquisti chi dice no alla mafia», continua Di Trapani. «Migliaia di persone hanno aderito e si è potuto invertire paradigma: sono i cittadini che mostrano la propria vicinanza in maniera concreta a chi deve denunciare». E, in collaborazione con istituzioni e forze dell’ordine, l’associazione si impegna a fornire assistenza a chi denuncia con «tutto quello che serve»: volontari, avvocati e psicologi. «Oggi questa rete è vasta. Centinaia di commercianti hanno trovato la forza di opporsi ai loro estorsori, hanno liberato se stessi e hanno contribuito a liberarne altri». Secondo Di Trapani, «bastava creare le condizioni. L’omertà, il collaborazionismo si sono sgretolati di fronte all’onda, insieme agli altri falsi miti».

Non è difficile, con una tale opposizione al racket, infatti, immaginare una reazione dura della criminalità organizzata, episodi violenti. E invece, «non ci sono controindicazioni nella storia di Addiopizzo, nessun evento tragico. E questo nonostante Cosa nostra sia stata molto danneggiata dal nostro lavoro, dalle denunce, da chi non le revocava, dalle forze dell’ordine, dalle prove che forniscono le vittime stesse», dice fiero l’attivista palermitano. «Non è vero che chiunque si alza contro la mafia va incontro a ritorsioni. La nostra storia insegna il contrario, sono l’isolamento e l’alienazione che portano alle tragedie. Noi all’inizio abbiamo avuto paura, certo, ma mai il sentore di essere in pericolo. Perché siamo insieme e siamo tanti». Anche se è sempre bene non abbassare la guardia, perché la mafia affina le strategie, si evolve. «E la società deve fare lo stesso, non si può mollare la presa».

Addiopizzo, «energia rinnovabile» contro il racket

Pico racconta di una Palermo molto cambiata nel tempo, la mafia è ancora forte ma tanta gente ha imparato a non avere paura. Il pizzo si paga ancora, ma le denunce crescono. Semmai il vero problema resta quello della complicità di alcuni. «C’è un mondo di imprenditori compromessi con la mafia, che non ricevono in maniera passiva l’estorsione ma intrecciano un legame di connivenza che legittima il ruolo dei mafiosi». Ci sono molti casi di «commercianti che vanno a chiedere come e a chi versare il “tributo” per stare sereni e mettersi in sicurezza. È un rapporto perverso, quello della vittima dell’estorsione che si consegna nella tana del lupo». 

Le iniziative di Addiopizzo si sono moltiplicate nel tempo. È nato Addiopizzo Travel, cooperativa di giovani che applica al turismo il concetto di consumo critico, con tour nei luoghi dell’antimafia che favoriscono hotel, ristoranti e strutture liberi dal pizzo. Sono stati organizzati incontri, feste e dibattiti e hanno aderito alla rete diversi personaggi famosi (Pif, Teresa Mannino, Roy Paci sono alcuni). Per qualche anno, è stato messo in piedi lo stabilimento balneare inclusivo “Sconzajuoco” dal nome della barca di Libero Grassi, chiamata così per la sua volontà di “guastare il gioco” mafioso. L’attività nel sociale, insomma, si è intensificata. «L’azione repressiva dello Stato non può nulla, se in quei territori dove non arrivano la politica e le istituzioni non ci sono presidi sociali, perché è quel vuoto che la mafia riempie». Per questo – continua Di Trapani – «oggi gli sforzi sono rivolti all’educativa di strada e all’inclusione».

Addiopizzo, «energia rinnovabile» contro il racket

Piazza Magione è un luogo storico per i palermitani, nel cuore dell’antico quartiere arabo della Kalsa, dove «i ragazzi si riuniscono la sera e «dove sono cresciuti Falcone e Borsellino». Ed è anche il luogo scelto per un progetto di riqualificazione dai partecipanti all’«investimento collettivo», una raccolta fondi nei negozi della rete. «Innanzitutto abbiamo costruito un’area giochi per i più piccoli, ma il vero impegno è quello di non andare via il giorno dopo e di essere presenti». Il progetto di educativa di strada consiste nel «garantire presenza e supporto, con il contributo di altri soggetti e associazioni compresa la scuola del quartiere e istituzioni (che, se chiamate in causa, rispondono)». Così i ragazzi della kalsa che vivono in situazioni di disagio hanno occasione «di incontrarsi, fare attività sportive e ludiche». «Li portiamo anche fuori da piazza Magione, dal loro microcosmo. Facciamo vedere loro che ci sono altri posti e luoghi di Palermo che offrono altre possibilità, diverse opportunità». Ai bambini si mostra che si può uscire dal deserto culturale nel quale la mafia vorrebbe relegarli.

È a queste attività che, dice Pico Di Trapani, oggi i volontari dedicano i loro sforzi maggiori. Lo scopo è creare cultura antimafiosa e una «cerniera tra società e istituzioni», perché «la responsabilità è sempre nostra, dei cittadini. Il disinteresse per la lotta alla mafia è innanzitutto nella società, per questo manca dall’agenda politica». Ad animarli è l’ambizione «che la gente voglia emularci. Addiopizzo è solo un passaggio e quello che veramente vogliamo è spingere ognuno a chiedersi: ‘in base alle mie possibilità, cosa posso fare di più di quello che già faccio?’».

LEGGI ANCHE: «È la fine di un incubo», parla il cugino di Messina Denaro