Esclusiva

Novembre 7 2024
«Sono scappato perché l’alluvione mi ha portato via tutto»: Tra i naufraghi a bordo della Life Support c’è anche chi fugge dalla crisi climatica

Dopo i salvataggi in mare avvenuti il 31 ottobre, la nave di Emergency si è diretta verso Livorno, il porto sicuro assegnato dalle autorità italiane dove è avvenuto lo sbarco. Durante i giorni di navigazione abbiamo raccolto le storie di chi sogna un futuro migliore in Europa

«Sono partito perché non avevo più nulla. Né soldi né la casa, che è stata distrutta dall’alluvione. Il mio desiderio oggi è quello di poter lavorare in Italia, per guadagnare abbastanza denaro da mandare alla mia famiglia. Che è rimasta a Sylhet. Sono estremante poveri come la maggior parte delle persone che vivono nel distretto. Abbiamo perso tutto a causa della pioggia intensa». Così racconta Abdul che è un nome di fantasia. Insieme ai tre compagni che gli sono accanto è partito dal Bangladesh quasi due anni fa. Prima che il professore di economia e premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus giurasse come capo del governo ad interim del Paese, con l’obiettivo di portare il Bangladesh a nuove elezioni. Sia Abdul, sia gli altri 4 compagni che annuiscono a ogni sua parola, ci tengono a ribadirlo: «Yunus è buono, prima il governo non era buono per niente», sottolineano: «Noi siamo partiti prima del suo arrivo». 

La comunicazione con Abdul non è semplice. Parla bengali e qualche parola di arabo imparata durante la detenzioni in Libia: «Siamo stati arrestati due volte, una dai trafficanti, una dalle autorità libiche». Da quanto racconta si capisce che il suo viaggio è stato lungo e difficile, scappato da Sylhet nel 2022, quando una terribile alluvione, proprio come quella che lo scorso agosto ha devastato la stessa area intrappolando in casa più di 4 milioni di persone, ha distrutto la sua abitazione e la sua esistenza. Dal Bangladesh è arrivato a Dubai, da lì si è spostato prima in Egitto, poi in Libia. Dalle cui coste si è imbarcato per attraversare il Mediterraneo Centrale: «Eravamo vicino Tripoli ma non conosco bene il luogo da cui siamo partiti. Era notte e non potevamo alzare lo sguardo né parlare. Altrimenti gli uomini con i fucili in mano che ci circondavano ci avrebbero ammazzato».

La rotta migratoria del Mediterraneo centrale è una delle più pericolose al mondo perché una di quelle in cui è più alta la possibilità di morire, nel tentativo di raggiungere l’Europa. Sono, infatti, 23.488 i morti o i dispersi dal 2014 a oggi, come si capisce dalla mappa dei migranti del Luiss Data Lab. Un documento interattivo che racconta la drammatica realtà di chi è costretto ad attraversare il mondo per scappare da guerre, sofferenza e violenza, per costruirsi una vita migliore. 568, invece, i morti e 768 i migranti dispersi solo dall’inizio del 2024.

Anche Abdul racconta di essersi sentito perso. Quando la barca su cui viaggiava, insieme ai suoi amici e altre 29 persone, partita dalle coste libiche due giorni prima, si è fermata in mezzo al mare: «I motori hanno smesso di funzionare e noi siamo rimasti lì, soli. Senza sapere che fare. Senza acqua né cibo. Senza conoscere nemmeno la direzione giusta per raggiungere l’Italia». Proprio così, infatti, alla deriva in mezzo al Mediterraneo, nelle acque Sar maltesi, spaventati e disidratati, erano i naufraghi quando sono arrivati i soccorritori della Life Support, la nave di Emergency di ricerca e soccorso, operativa dal dicembre del 2022. Che ha già condotto 25 missioni e salvato 2.293 persone.

«Grazie per averci salvato la vita», hanno ripetuto più volte Abdul e i suoi compagni agli operatori del team Emergency che si sono presi cura di loro per il viaggio dalle acque internazionali di Malta fino a Livorno, il porto sicuro assegnato dalle autorità italiane alla Life Support, dove dopo più di tre giorni di navigazione dai due salvataggi avvenuti il 31 ottobre, i 72 naufraghi, il 4 novembre scorso, sono finalmente sbarcati.