«Cosa volete sentirvi dire? Come si può definire “normale” una relazione quando ci si può incontrare per 15-20 giorni l’anno?». Juri ha 35 anni ed è un soldato ucraino in guerra dal febbraio 2022. La sua non è la romantica storia d’amore e guerra che ci si potrebbe aspettare, ma è sfrontata e ingiusta, proprio come sa esserlo la vita.
Come altre migliaia di cittadini ucraini, tre anni fa, Juri lascia tutto, casa e famiglia, per combattere contro l’invasione russa che concede a lui e agli altri soldati un massimo di 30 giorni l’anno di “vacanza”, «Ma non più di 15 giorni di fila».
In quel febbraio di 3 anni fa, nessuno sa che di lì a poco la Russia attaccherà l’Ucraina e, prima che la guerra cominci, proprio quello stesso mese, Juri divorzia da sua moglie. Pochi giorni dopo la separazione, Juri viene svegliato dal rumore delle bombe lanciate dall’esercito russo sull’aeroporto di Vasylkiv, non lontano da casa sua: «Ho preso la mia famiglia e quella di un amico e le ho portate in un luogo sicuro a 160 km di distanza». Il 25 febbraio Juri sarà già a bordo di un autobus diretto all’unità militare con cui combatterà per la difesa della città di Kiev.
Cominciano tre anni segnati da combattimenti, distruzione e morte. Tre anni segnati dalla rottura con tutto ciò che prima era una vita “normale”. Se un conflitto cancella tutto ciò che è normalità, un dolore lacerante quanto quello causato della fine di un amore, rimane illeso nonostante l’avanzare di una guerra: «La situazione in cui viviamo ha fatto sì che io e la mia ex-moglie siamo riusciti a costruire una sorta di relazione ‘restaurata’».
I due hanno un figlio di 6 anni e la necessità di avere una connessione a Internet per il ruolo che Juri svolge nell’esercito permette loro di sentirsi spesso per telefono: «Lui le chiede ogni giorno se morirò. Ormai è abbastanza grande per capire dove sono e cosa potrebbe succedermi». A 6 anni il figlio di Juri, dopo essere scappato con la madre per un periodo in Svezia, vive in Ucraina e soffre di attacchi d’ansia: «Gli allarmi e i missili non aiutano».
La stessa paura consuma da ormai tre anni una nazione intera che, però, non può abituarsi o arrendersi al rumore delle stesse sirene e degli stessi missili che spaventano il figlio di Juri. È «una forma di amore che non so come tradurre» quella che il popolo ucraino ha imbracciato, nonostante il resto del mondo aveva scommesso su una rapida vittoria della Russia, e che rende possibile, dopo 3 anni, poter parlare di quale sarà, per quanto incerto, il futuro dell’Ucraina. «La storia è ciclica e destinata a ripetersi. Il mio bisnonno fu fucilato dai russi durante la rivoluzione bolscevica, il fratello della mia bisnonna è stato anch’egli fucilato dai russi. Tratto la guerra e il combattimento come se fossero un lavoro. Per me i russi sono sempre stati ciò che sono ora».
Juri è il comandante della sua unità, un gruppo formato da altri cinque ragazzi: «Sono la mia famiglia. Quando devi attraversare così tanti momenti difficili e pericolosi non puoi fare altro che unirti l’uno con l’altro». Ora si stanno dirigendo verso Kharkiv: «Utilizziamo droni per colpire i russi». Nessuno di loro era un soldato prima del febbraio 2022: «La vita da civile mi ha aiutato. Tante innovazioni militari sono state fatte proprio grazie a persone che non erano militari, abbiamo rivoluzionato l’esercito». Juri ha studiato storia, è un appassionato di letteratura e gli unici momenti in cui riesce a distrarsi sono quelli in cui, sdraiato da qualche parte, riesce a sfogliare le pagine di un libro.
Lui e la sua unità si dirigono verso una delle città più martoriate dall’esercito russo. Da tre anni, non passa giorno o notte, in cui Kharkiv, situata nell’est dell’Ucraina, non venga bombardata. Sono 50 i chilometri che separano la città dalla frontiera con la Russia.
Lì, i soldati ucraini combattono la guerra dalle trincee. Nei mesi invernali la media delle temperature in quella zona va dai -8 a 3 gradi centigradi. Chi combatte in trincea dorme, si sveglia, mangia, muore all’aperto, circondato dalla terra fredda delle buche scavate. La galleria del cellulare di Juri è diventata un «obitorio». Non riesce, non vuole parlare di nessuno di loro, perché tutti, dal primo all’ultimo, meritano di essere ricordati. «L’unica cosa a darmi la forza è pensare ai miei compagni che sono nelle trincee. Sono loro l’unica cosa che mi fa andare avanti. Quando io ho freddo so che arriverà un momento, prima o poi, in cui riuscirò a scaldarmi. Per loro non è così».
La consapevolezza che da ogni sua mossa possa dipendere la vita o la morte di un altro soldato fa sì che Juri non lasci che la disperazione prenda il sopravvento. È l’amore per la vita di un altro compagno a dargli la forza per resistere.
«Non so descrivere come la guerra cambi le persone. Ci sono momenti in cui è difficile controllare la sindrome da stress post traumatico, ma ho cominciato a dare valore alla vita in modo diverso. Quando vedi la morte da così vicino, anche la vita cambia. Non ho più bisogno di molto per essere felice: alzarmi presto la mattina, vedere la mia famiglia. Quella è la felicità». L’amore.
l nome del protagonista di questa storia è stato modificato per proteggere la sua identità.