Pochi altri muri, se potessero parlare, avrebbero un repertorio più vasto dei Sassi di Matera. Su alcuni si trovano conchiglie incastonate nella roccia da milioni di anni. Su altri i graffiti di ragazzi che una mattina non sono andati a scuola. Su altri ancora i segni delle picconate che hanno trasformato quella pietra prima in grotte e poi in case, in un esempio raro di continuità abitativa.
In via San Pietro Barisano, sul fianco di un palazzo che oggi è un albergo, sono ancora visibili i buchi causati dall’esplosione di una granata dell’esercito nazista, il 21 settembre 1943. A Matera si erano insediati i soldati del Primo Battaglione della Prima Divisione Paracadutisti. Dopo una convivenza pacifica con la popolazione locale, con l’armistizio dell’8 settembre le tensioni crebbero e tra il 18 e il 20 settembre 1943 si registrarono i primi arresti arbitrari.
Nel pomeriggio del 21 settembre, due soldati tedeschi entrarono nella gioielleria Caione e Colella, secondo alcune fonti con intenti pacifici, secondo altre stavano perpetrando un atto di razzia. I militari vennero uccisi da due finanzieri sull’uscio del negozio. I corpi furono nascosti dai materani, ma una pattuglia tedesca in perlustrazione li notò. Intanto, nella vicina piazza Vittorio Veneto, un civile, Emanuele Manicone, accoltellò un militare austriaco in una sala da barba e si mise a correre per le strade, incitando la popolazione alla rivolta. Rimase ferito anche un altro militare nazista, ma i clienti del barbiere lo portarono in ospedale e gli salvarono la vita. L’uomo fece ritorno a Matera dopo la guerra per ringraziarli.
La miccia, però, era innescata e iniziarono i conflitti a fuoco in cui persero la vita lo stesso Manicone e altri sei uomini. Nel frattempo, i tedeschi in ritirata cercarono di distruggere il palazzo della Società Elettrica. Fecero evacuare lo stabile e poi aprirono il fuoco, uccidendo quattro civili.
Il crimine più efferato fu compiuto poco prima di lasciare la città. Il Palazzo della Milizia, diventato ormai prigione, fu fatto saltare in aria con all’interno sedici persone. Tra loro, Francesco e Natale Farina, padre e figlio, Natale era appena rientrato dal fronte e fu arrestato quella mattina. Francesco cercò di intercedere per la liberazione del figlio, ma fu portato dentro a sua volta. Morirono insieme durante l’esplosione.
La rivolta costrinse i tedeschi a una ritirata improvvisa, evitando il bombardamento della città da parte degli Alleati, che si trovavano a pochi chilometri. Matera fu così la prima città del Mezzogiorno a insorgere in armi contro l’occupazione nazifascista, in anticipo rispetto alle Quattro Giornate di Napoli. Nel 1966 ha ricevuto la Medaglia d’Argento al Valor Militare e nel 2016 la Medaglia d’Oro al Valor Civile. Il maggiore Wolf Werner Graf von der Schulenburg, mandante della strage della Milizia, fu inserito in una lista di criminali di guerra redatta dalle autorità investigative militari inglesi.
A distanza di 82 anni è ancora aperto il dibattito cittadino sul ricordo di quel giorno. C’è chi esita a parlare di resistenza o insurrezione: «È stato un incidente bellico militare, in un momento di grande nervosismo da entrambe le parti. Non ci fu lotta partigiana, ma solo una scintilla che ha generato vittime innocenti di un caso tragico», ha dichiarato lo storico Giovanni Caserta. Vito Sebastiani, autore di diversi libri sul tema, ricorda invece i fatti del 21 settembre come «il risveglio di menti assopite, la voglia di riscatto di una popolazione da secoli abbandonata e mortificata».
Nella concitazione di quelle ore, nessuno ha avuto la lucidità di costruirsi un ricordo nitido. Com’è andata di preciso, se fu insurrezione, rivolta o una slavina di eventi casuali, non lo sa nessuno. Forse i muri, ma loro non parlano, al massimo lasciano segni. Restano i fori nei blocchi di tufo, le targhe con i nomi dei caduti e la memoria imprecisa di una città che si ritrovò libera ancor prima di essere liberata.
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