Esclusiva

Aprile 24 2025
Quelle note annunciano la libertà

Il 25 aprile portoghese attraverso la storia di Joaquim e Maria, emigrati in Francia per fuggire al regime di Salazar

Come tutti i portoghesi, di quel 25 aprile 1974 Joaquim ricorda le note di una canzone.  

Era da poco passata la mezzanotte quando la radio trasmise “Grândola, Vila Morena”, brano proibito dal regime di Salazar che diede inizio alla rivolta che pose fine alla dittatura.  La mattina, nella sua casa a Grenoble, in Francia, Joaquim svegliò sua moglie Maria. Cominciarono a cantare e a ballare commossi: la liberazione, anche se lontana, era arrivata anche per loro.

Il loro esilio era cominciato anni prima. Joaquim e Maria si erano conosciuti da ragazzi, tra due paesini del nord del Portogallo. Lui le aveva rubato una giacchetta a una festa, lei gli aveva chiesto un dolcetto in cambio. Quel gesto aveva rotto il ghiaccio e da allora cominciarono a frequentarsi mentre intorno a loro si muoveva la macchina del regime: silenziosa, onnipresente, intoccabile. Trent’anni prima, nel 1933, António de Oliveira Salazar aveva istituito l’Estado Novo, che passerà alla storia come la dittatura più duratura nell’Europa del Novecento. Nessuno la viveva come una questione personale. “Per noi era normale – racconta Joaquim – Eravamo cresciuti così”.

In realtà, la presenza del regime si percepiva in ogni angolo. Suo padre, favorevole a Salazar, lo ammoniva: “Non dire mai niente contro il governo. Mai, nemmeno per scherzo”. Era una regola non scritta, scolpita nella quotidianità. La PIDE, la polizia politica, agiva in borghese per assicurarsi che venisse rispettata. Ogni paesino ospitava due o tre agenti, ma nessuno sapeva chi fossero. “Un giorno portarono via un mio amico sei mesi – ricorda Joaquim – Tornò irriconoscibile. Dopo poco morì”. Quella storia bastò a far tacere un’intera comunità. 

Nel 1969 Joaquim fu arruolato per combattere in Mozambico, colonia portoghese. Allora lo Stato cercava di soffocare le rivolte indipendentiste in Angola, Mozambico e Guinea-Bissau. Guerre lunghe e logoranti: trenta giorni in nave, tremila soldati a bordo. Restò in Africa tre anni. “Lì ho visto cosa stava facendo davvero il mio paese, c’era una disparità inaccettabile. Io dividevo la mia zuppa con il ragazzo che mi lavava i piatti, perché lui si nutriva solo raschiando il fondo delle pentole”. Di fronte alle condizioni imposte ai popoli africani, cominciò a guardare in modo diverso anche il suo Portogallo e la miseria che aveva dato per scontata prese un volto. Scriveva ogni giorno a Maria per restare lucido e quando gli offrirono una promozione, rifiutò: “Avevo capito che non volevo servire un sistema così. Volevo solo tornare e sposare mia moglie”.

Il matrimonio segnò una nuova decisione: quella di partire. Maria, incinta della loro prima figlia, riuscì a ottenere il passaporto ma il tentativo di Joaquim fu negato dallo Stato. Scelse la clandestinità: “Attraversai un fiume, passai in Spagna. Poi mi lanciai dal treno tre chilometri prima del confine con la Francia. Non potevo farmi trovare dalla polizia”. Raggiunsero Villefranche, dove la vita riprese, ma il pensiero della loro terra non si spense. Joaquim seguiva i giornali, ascoltava la radio, intuiva che qualcosa si stava preparando. Il 25 aprile del 1974, quando sentì dei concittadini scesi in piazza provò una gioia “che non riesco neanche a esprimere. Era finita. Eravamo liberi”.

Rientrarono in Portogallo quell’estate, ad agosto, per la prima volta dopo l’esilio. Racconta che le persone erano cambiate: “Si parlava per strada, senza paura. C’erano sguardi liberi, non più diffidenti”.  Ma il ritorno definitivo non avvenne: “La situazione economica era ancora instabile e le nostre figlie erano cresciute in Francia, non potevano essere sradicate – continua – sapevamo però che ora si poteva scegliere”.

Joaquim e Maria non parteciparono attivamente alla lotta, non facevano parte di gruppi, non distribuivano volantini, non cospiravano con nessuno. Eppure, ogni scelta fatta – partire, amare, costruire una casa lontano – nasceva dal rifiuto di quel mondo. “Se non ci fosse stata Maria, forse avrei trovato il modo di combattere. Ma la nostra opposizione era già cominciata così”. Oggi Joaquim dice che la liberazione è stata anche loro. La rivede negli occhi delle figlie, nel sorriso di sua moglie. Ogni anno, il 25 aprile, celebra la fine di una battaglia che si è combattuta in silenzio, ma che è stata vinta con una canzone. 

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