Esclusiva

Aprile 24 2025
Quelle ragazze in bicicletta

La storia di Adelina Casadio, staffetta partigiana della 28esima brigata Garibaldi. Combattè vicino alle valli di Comacchio per liberare l’Italia

Si girava di notte, le biciclette macinavano chilometri e, con le pance gravide di armi e tritolo, la resistenza delle donne partigiane si opponeva al fascismo in Italia. Era il 1944 e «la Romagna era una terra rossa», spiega Giorgio Casadio storico giornalista de Il Manifesto e La Repubblica. Sua madre, Adelina Casadio, aveva poco più di vent’anni quando, insieme alle altre staffette, nascondeva sotto le vesti pacchi di giornali, manifesti ed equipaggiamenti militari per combattere una guerra che aveva ricoperto l’intero Paese con un velo nero di repressione. Le giovani che lottavano contro il regime un giorno si presentavano come ragazze affette da gravi malattie, nascondendo sulla schiena aiuti per chi era al fronte, quello dopo, invece, sarebbero state incinte solo per poche ore, quanto bastava per trasportare il necessario nei luoghi stabiliti.

Adelina aveva una bambina piccola e un marito lontano, militare in Grecia. La guerra li separò, ma li rese parte della stessa lotta. Lei viveva a Ravenna, nelle Valli di Comacchio, dove operava la 28ª Brigata Garibaldi, una delle poche brigate partigiane attive in pianura. Lì la guerra non si combatteva solo in montagna, ma tra le case, tra le strade, nelle acque basse delle paludi.

Lei si faceva chiamare “la Dina”, questo era il suo nome di battaglia. Una lotta che condivideva con altre donne: «Era un periodo drammatico. Mia madre aveva una migliore amica. Erano sempre in due, sempre insieme. Andava una volta una, una volta l’altra. Ma c’è un episodio in particolare che mia madre si è portata dietro per tutta la vita. Un giorno, durante il turno, la sua compagna è stata catturata dai nazisti. Morì, impiccata con un gruppo di partigiani. Mi ha sempre detto: “Quel giorno potevo esserci io”, e la tristezza che derivava da questo pensiero l’ha accompagnata per anni».

Quelle ragazze in bicicletta

La resistenza di Adelina e delle altre staffette era fatta di azioni quotidiane e rischiose, ma la vita andava avanti. Nel mezzo c’era la guerra e per chi, come lei, era cresciuta con forti ideali antifascisti, non c’era possibilità di scelta. Essere repubblicani o socialisti significava rifiutare il regime: «Mia madre era di famiglia repubblicana, influenzata anche dalle idee di mio nonno. Mio padre, invece, veniva da una famiglia socialista. Io sono cresciuto in una famiglia divisa a metà, si discuteva, a volte si litigava, ma tutti avevano in comune l’antifascismo. Io sono quello che sono grazie a quella cultura lì», spiega Casadio.

Il ricordo delle storie raccontate dai genitori, che ascoltava da bambino gli ha trasmesso gli ideali con cui è cresciuto. Durante la parata commemorativa a Bologna, per il trentennale del 25 aprile, vide sua madre e gli altri della Brigata Garibaldi marciare tra gli applausi. «Fu un momento commovente. Ero uno studente universitario quando assistetti alla sfilata. Guardavo mia madre camminare sorridente tra i membri della brigata. Era evidente che quelle donne erano diventate sorelle, parte della stessa famiglia». Da quel momento sono passati cinquant’anni e, questo aprile, la Romagna è stata una delle tappe di Re Carlo d’Inghilterra. Il sovrano britannico ha reso omaggio a quelle terre e ha incontrato chi le difese con coraggio per ricordare quanto la libertà sia stata, e sia ancora, una preziosa conquista lasciata in eredità.

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