Esclusiva

Maggio 15 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 3 2025
Laureati Stem, l’Asia si prende il futuro

Pechino punta a raddoppiare il numero di dottorandi STEM rispetto agli USA, rafforzando così il suo potere nei settori chiave del futuro

Sono 4,7 milioni gli studenti in discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) che ogni anno si laureano in Cina contro gli 1,6 milioni stimati per gli Stati Uniti. Questo è uno degli indicatori di un profondo spostamento nell’asse globale del sapere scientifico e tecnologico. Entro il 2025 Pechino punta a raddoppiare il numero di dottorandi STEM rispetto agli USA, rafforzando così la propria capacità di innovazione nei settori chiave del futuro. Parallelamente, anche l’India sta aumentando in maniera significativa la produzione di talenti in queste materie. Con una quota del 34% di laureati STEM sul totale degli iscritti, il Paese fornirà una parte crescente del capitale umano tecnico a livello mondiale. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, entro il 2030 oltre il 60% dei laureati STEM proverrà da questi due paesi.

Tuttavia la Cina non sta semplicemente aumentando i numeri ma sta riprogettando il proprio sistema educativo: ad aprile 2025 il Ministero dell’Istruzione ha lanciato un piano triennale che integra l’intelligenza artificiale in tutte le fasi dell’insegnamento, dai metodi didattici ai libri di testo. Le scuole elementari dovranno, quindi, dedicare almeno otto ore all’anno a moduli di IA, robotica e coding. Le medie e le superiori, invece, avranno l’obbligo di nominare almeno un docente con master in discipline STEM e un vice‑preside dedicato alle iniziative scientifiche.

Dal punto di vista accademico, la Peking University, la Renmin University e la Shanghai Jiao Tong University hanno annunciato l’aumento dei posti in corsi di informatica, ingegneria biomedica e microelettronica. Una risposta al successo del modello linguistico DeepSeek e alle restrizioni statunitensi sui visti studenteschi.

«La Cina è davvero una minaccia per la supremazia americana», afferma Carlo Pizzati firma de La Repubblica e La Stampa dall’Asia. «È riuscita ad aumentare gli stipendi e a trattenere i propri cervelli. È una repubblica comunista, non socialista, può esercitare un controllo diretto sui cittadini che l’India, ad esempio, non può permettersi». Dietro queste strategie c’è un investimento massiccio nello sviluppo tecnologico: la spesa pubblica cinese per la ricerca sul calcolo quantistico è quattro volte quella statunitense, coprendo oltre la metà degli stanziamenti globali in questo settore. Investimenti che mobilitano anche il settore privato: Tencent, tra le più grandi tech company cinesi, ha annunciato un aumento del 20% del capitale destinato all’intelligenza artificiale, portando il budget a oltre 12 miliardi di dollari.

Con oltre il 50% della popolazione sotto i 30 anni, l’India invece ha varato la National Education Policy (NEP) 2020, che integra STEM, arti e scienze umane in un unico curriculum multidisciplinare. «In India l’investimento sull’ingegneria è un progetto che parte dal dopoguerra», chiarisce Pizzati. «Sono le stesse scuole che hanno formato i grandi CEO della Silicon Valley. Ma il problema oggi è trattenere quei cervelli. Il governo ci prova, ma le retribuzioni restano troppo basse». Nonostante i progressi, rimane anche la disparità tra aree urbane e rurali: la qualità dei docenti in discipline scientifiche è infatti fortemente correlata al contesto socio‑economico. Per questo motivo l’amministrazione del premier indiano Narenda Modi ha stanziato fondi per connettere le scuole delle zone svantaggiate a internet ad alta velocità e introdurre laboratori mobili di robotica. «Il vero nodo,” prosegue Pizzati, «è che Modi dovrebbe avere il coraggio politico di spingere i grandi conglomerati a investire nella formazione e a pagare meglio. L’India continua a perdere persone molto qualificate». 

Dall’altro lato dell’oceano, invece, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha segnato un cambio nelle politiche educative a stelle e strisce: se da un lato è stata potenziata la formazione professionale e tecnica, dall’altro c’è stata una riduzione degli sforzi per l’ampliamento tradizionale delle lauree STEM. Il 23 aprile 2025 Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per promuovere oltre un milione di apprendistati annuali, con un focus specifico sui settori legati all’intelligenza artificiale e alle tecnologie avanzate. Al tempo stesso però, l’amministrazione ha imposto maggiore controllo sulle università, sospendendo programmi di diversità, equità e inclusione (DEI) e chiedendo alle istituzioni di pubblicare legami finanziari con enti stranieri sottoposti a sanzioni. Per Pizzati il caso americano è un’anomalia: «Trump vuole smantellare uno dei pilastri del dominio industriale americano, forse per vendetta ideologica. Ma così facendo fa un regalo all’India e alla Cina». 

Italia: un ritardo strutturale 

L’Italia si trova a un bivio: da un lato vanta un buon tasso di diplomati tecnici‑professionali in discipline STEM (46% sul totale secondo l’OCSE), dall’altro presenta uno dei più bassi livelli di laureati tra i 25–34 anni (12,8% contro il 44% della media OCSE). Questo divario si traduce in una scarsità di ricercatori e ingegneri, aggravata da un mercato del lavoro poco attrattivo e da condizioni salariali che faticano a competere con quelle internazionali. 

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