Le luci si abbassano e un brusio inquieto serpeggia nella platea del Teatro Argentina di Roma. Sul fondale, uno schermo freddo e una stanza vuota. Thomas Newton, interpretato da Manuel Agnelli, è già lì: immobile, sagoma di un alieno che non riesce più a tornare a casa né a morire. La sua esistenza è una prigione trasparente. Così si apre Lazarus, il musical concepito da David Bowie insieme al drammaturgo Enda Walsh come ultimo progetto artistico, una sorta di epilogo del romanzo L’uomo che cadde sulla Terra e, al tempo stesso, un testamento in musica della carriera di David Bowie assieme all’album Blackstar.
Sul palco risuonano le prime parole di Lazarus: “Look up here, I’m in heaven”. La voce di Bowie, filtrata attraverso quella di Agnelli, guida lo spettatore dentro un viaggio mentale dove i confini tra realtà e allucinazione si fanno labili. La stanza si anima, sogni e visioni si infilano tra le crepe di una memoria stanca. Il palcoscenico diventa un labirinto interiore, popolato da proiezioni televisive che scorrono come flashback, da ombre che prendono corpo e da costruzioni mentali che parlano e cantano.
Intorno a Newton si muovono presenze ambigue e impossibili: una giovane donna che forse non esiste, un’assistente che si aggrappa a un amore disperato, un predatore inquietante che sfiora i limiti della follia. Non c’è una trama classica, ma un fluire continuo di immagini e suggestioni. A tessere la trama emotiva dello spettacolo sono le canzoni di Bowie, che non accompagnano la narrazione ma la trasfigurano: Heroes, Changes, Life on Mars?. Ogni brano accompagna Newton e lo spettatore in un naufragio interiore che parla di morte, memoria, identità.
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Lazarus è una riflessione sulla memoria, sull’identità e sul tempo. Mette in scena la condizione esistenziale di un uomo, o forse di un alieno, sospeso in una dimensione mentale sempre più fragile. L’edizione italiana, in scena fino al 15 giugno al Teatro Argentina, è firmata dal regista Valter Malosti. Sul palco, Manuel Agnelli costruisce un personaggio trattenuto e spezzato, attraversato dal rimpianto e dalla fatica di convivere con il passato. Accanto a lui, Casadilego presta voce e presenza a una figura femminile che abita i sogni, o forse le allucinazioni, di Newton, guidandolo verso un confronto necessario con i suoi fantasmi.
La scenografia amplifica questo stato di sospensione. Lo spazio è claustrofobico e in continuo mutamento. Le pareti si aprono e si richiudono come stanze della memoria, le proiezioni scorrono sul fondale come frammenti di ricordi disturbati, le luci scolpiscono un ambiente instabile, specchio della mente del protagonista. Lazarus è un’esperienza teatrale intensa e straniante che chiede allo spettatore di rinunciare a una narrazione lineare per abbandonarsi a immagini e suggestioni che parlano il linguaggio poetico di David Bowie. A quasi dieci anni dalla sua scomparsa, questo spettacolo offre un modo per tornare a dialogare con un artista che ha saputo trasformare ogni momento della vita, compresa la sua stessa morte, in un’opera.