Esclusiva

Giugno 18 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 20 2025
Le mani di Israele sulla Cisgiordania

Attraverso confische, sfratti e decreti il governo israeliano sta prendendo il controllo di sempre più terre della West Bank 

«Ilan, ci stai portando via tutto». C’è questo nome sugli avvisi di sfratto che colpiscono le famiglie delle colline di Masafer Yatta, sud di Hebron, Cisgiordania, nel docu-film premio Oscar No Other Land. Ilan non è un soldato. La sua divisa è fatta da t-shirt della Nike, cappellino con visiera e occhiali da sole specchiati. È l’incarnazione del potere amministrativo che muove e autorizza quello militare. Ma è anche l’unico essere fisico a cui uomini e donne disperati possono chiedere – invano – spiegazioni, mentre raccolgono una coperta o una padella da sotto le macerie di quella che fu la loro casa.   

Siamo nell’Area C istituita dagli accordi di Oslo del 1993: il 59% del territorio della Cisgiordania, composto prevalentemente da terre agricole, ancora sotto il controllo militare e amministrativo israeliano.  

A partire dall’inizio delle operazioni militari a Gaza, la tensione è salita molto anche qui. Secondo i dati dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), dall’ottobre 2023 a luglio 2024 sono stati più di mille i casi di aggressione a palestinesi da parte di coloni israeliani. Uomini mascherati e armati scendono ogni giorno dalle colline sassose, tirano pietre, bastonano e sparano con armi automatiche rivendicando le terre ad ovest del fiume Giordano come proprie. Ma l’annessione della Cisgiordania – minacciata dal ministro degli Esteri Israel Hayom in risposta al riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dei governi occidentali – usa anche la carta bollata.   

Le mani di Israele sulla Cisgiordania

Sempre secondo dati dell’Ocha, dal 7 ottobre 2023 il numero di case e altri edifici di palestinesi demoliti è salito del 14,75% rispetto all’anno e nove mesi precedenti, quello di persone sfrattate dalla propria casa o dalla propria terra del 87,81%. In generale, i palestinesi colpiti direttamente o indirettamente da questi provvedimenti, sono aumentati di quasi cinque volte nello stesso periodo.

Le mani di Israele sulla Cisgiordania

Il sequestro per ragioni militari è spesso solo l’inizio: il primo passo verso la confisca legale delle terre per dichiararle “terre di Stato”. «Si dichiara un’area come zona militare chiusa. E poi vanno dal proprietario e gli dicono: “Senti, per la legge ottomana, il codice fondiario del 1858, non hai usato la tua terra per più di tre anni. Quindi te la requisiamo”», commenta un avvocato e attivista per i diritti umani palestinese che vuole restare anonimo. «Qui in Palestina, nella storia, sono state applicate diverse leggi – continua il legale e attivista – dopo gli ottomani, siamo passati sotto il mandato britannico, che ha emesso ordini e leggi che sono ancora in vigore. Anche la Giordania ha applicato le proprie». Una stratificazione normativa che, secondo l’avvocato, Israele ha usato a suo vantaggio.   

«In Palestina la proprietà della terra è, per tradizione, orale. Solo il 10% della proprietà è documentata», prosegue l’avvocato. La mancanza di atti è alla base della demolizione degli edifici palestinesi nell’Area C e B (controllo militare israeliano, amministrazione all’Autorità nazionale palestinese) di Cisgiordania e Gerusalemme Est. Sono costruzioni senza autorizzazione, tirate su in una notte mentre i soldati dormono. «Il 95% delle richieste di permesso che i palestinesi hanno presentato dal 1967 sono state respinte», aggiunge l’avvocato e attivista. Non è vietato costruire, ma senza un certificato di proprietà è impossibile ottenere il permesso. «Così se in Italia guardi il telegiornale e senti che Israele ha demolito una casa perché era stata costruita abusivamente, ti viene da pensare che sia stato giusto. In realtà, non abbiamo altra scelta».  

A maggio l’esercito israeliano (IDF) ha raso al suolo la quasi totalità degli edifici di Khalet El Dabaa, uno dei villaggi di Masafer Yatta. La motivazione è sempre quella dell’area di tiro, ma, come testimoniano video e racconti raccolti dal quotidiano Haaretz, i militari hanno subito lasciato il campo libero ai coloni. «Continuano a venire nelle nostre case con pecore e fucili, e l’esercito non fa nulla per allontanarli», ha dichiarato un civile palestinese della zona.   

Secondo dati dell’organizzazione pacifista Peace Now, dal 7 ottobre sono stati fondati 89 nuovi avamposti di insediamento. Il 29 maggio scorso il ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato che 22 di questi diventeranno presto colonie, riconosciute ufficialmente dallo Stato ebraico, ma illegali per il diritto internazionale, come ribadito dalla risoluzione ONU 2334 del 2016.  

I territori dell’Area C vengono quindi sgomberati per ragioni militari, annessi come terre statali e poi concesse liberamente ai coloni. Il passaggio successivo, la legalizzazione dell’annessione, è già in atto. Il 29 maggio 2024 l’IDF ha pubblicato un ordine con cui si trasferisce la responsabilità di decine di regolamenti dell’Amministrazione civile (l’organismo israeliano che governa la West Bank) dall’esercito ai funzionari del Ministero della Difesa. Non più territori occupati – o “contesi”, come dicono i diplomatici israeliani – ma province.  

Il progetto di annessione passa anche dall’ambientalismo. Peace Now conta 141 aree della Cisgiordania identificate dall’Amministrazione Civile come parchi o riserve naturali. «Pensi che l’abbiano fatto perché si preoccupano dell’ambiente? – commenta il legale palestinese – Hanno creato queste aree verdi per impedirci di costruire case».   

Le mani di Israele sulla Cisgiordania

Oltre alle restrizioni vigenti nell’Area C, nelle riserve naturali ne esistono di ulteriori per limitare l’uso palestinese della terra. Qui i proprietari non possono coltivare, piantare alberi o pascolare le loro terre senza l’approvazione del Funzionario della Riserva Naturale. «Ma possono essere trasformate in aree edificabili quando si tratta di un insediamento. Come Har Homa, a Gerusalemme Est. Noi la chiamavamo la collina Abu Ghneim. Allora sì che era un’area verde».

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